Da quel terribile giorno sono apparsi, nell’arena mondiale, nuovi e crudeli nemici, di diversa origine con i loro differenti supporti: all’ al Qaeda di Osama bin Laden, e a tutte le altre organizzazioni più o meno sparse, accolte e radicate che ad essa fanno riferimento, ha risposto un Occidente spaventato che, da una compatta offensiva morale e militare iniziale, capeggiata dagli Stati Uniti, è passato a un scetticismo diffuso verso la leadership mondiale americana e a estese fratture politiche e sociali al suo interno, soprattutto in Europa.
Una lettura simbolica suggestiva dei fatti del 2001 interpretò quegli attacchi come il desiderio di colpire gli emblemi della potenza economica e militare del mondo occidentale, le Torri del World Trade Center e il Pentagono. Ed ora, nel 2011, con i numerosi crolli delle Borse mondiali e l’inarrestabile crisi strutturale di un capitalismo sofferente a colpa dei suoi eccessi finanziari, sembra compiersi un attacco al vero cuore del sistema economico e produttivo, quasi a completare un disegno di grande instabilità globale iniziato dieci anni fa.
Se l’11 settembre aveva lo scopo di indebolire fino allo sfinimento un sistema politico, economico e finanziario considerato nemico, per le tante ragioni espresse più o meno chiaramente in questi anni, ecco che questo risultato sembra essere stato raggiunto alla fine con quanto sta avvenendo, a livello politico ed economico, in tutto l’Occidente.
Il mondo dell’estremismo armato islamico e tutto quanto ad esso collegato – dai supporti politici, finanziari e militari - non è stato indebolito dalle guerre al terrore degli anni seguenti al 2001; ora, infatti, mutato, camuffato, e appoggiato con maggior sofisticazione di un tempo, fa le sue violente apparizioni in ogni dove è strategica l’instabilità politica e si raffronta in un estenuante confronto con altre forze politiche moderate desiderose di nuovi spazi e nuove libertà, anche nel mondo musulmano. Non bisogna, infatti, dimenticare che il fanatismo terroristico nato dall’11 settembre ha fatto più vittime nel mondo arabo e musulmano di quello occidentale: non si è trattato di debolezza nel prevenirlo e contenerlo quanto una dimostrazione che l’11 settembre ha dato vita anche a una furiosa guerra intestina islamica.
Su quanto accadde a New York, Washington e Pennsylvania nel 2001, e in seguito con la guerra contro il terrorismo, i conflitti afghano e iracheno, si è detto e scritto, ma soprattutto ipotizzato troppo, tanto da oscillare fra l’ autentico fanatismo religioso a possibili complotti interni agli Stati Uniti, attuati da segmenti politici e dell’ intelligence statunitensi, con l’avvallo di supporti di Paesi arabi amici. Quei fatti hanno finito per monopolizzare così tanto l’attenzione pubblica e l’attività politica e militare da segnare un solco profondo e incolmabile non solo fra epoche storiche, ma anche fra mondi diversi, un Occidente – di cultura cristiana ed ebraica - e uno musulmano, senza però distinzione fra moderati e radicali.
Si è voluto realizzare l’isteria dello scontro di civiltà, massima espressione culturale di un elemento ancora più esaltato dei fanatici islamici; e per un po’ ha funzionato, per poi scoprire che, forse, parte della civiltà musulmana desiderava le stesse libertà e la stessa democrazia occidentali che si volevano ostili.
Mai come da quell’11 settembre ci sono stati dibattiti e c’è stato confronto, a cui si sono rapidamente prestati esperti dell’ultim’ora. La tecnologia ha permesso di divulgare informazioni e immagini, di quei fatti, dei protagonisti, delle decisioni belliche, degli entusiasmi e dei fallimenti, per poi scoprire che tanta informazione ha prodotto solo disinformazione e disillusione. Una girandola di tragiche ipotesi ruota ancora attorno ai fatti di quel giorno e appaiono ancora nebulose le sorti dei conflitti ad essi legati, dall’Iraq all’Afghanistan.
Ma è inutile sperare di comprendere appieno l’avvio, allora, di un fenomeno destabilizzante che, in questi ultimi mesi, ha raggiunto espressioni così forti che paiono veramente completare il suo ciclo iniziato dieci anni fa.
Gli Stati Uniti hanno perso la loro leadership politica, non riuscendo a superare le gravi crisi economiche e finanziarie che ne hanno demolito il tessuto produttivo e sociale: ciò che si intravede è solo un affannoso arrancare dell’amministrazione Obama a dimostrarsi diversa da quella del suo predecessore, non riuscendo nell’obiettivo ma, al contrario, rinvigorendo forze estreme che insistono con gli eccessi e gli abbagli propri di un’economia di mercato deregolamentato e di un’assenza dello Stato, e che si risolvono in vera e propria anarchia. E in essa, gli Stati Uniti stanno perdendo il potere e il controllo di gran parte di mondo che è stata parte insostituibile della loro egemonia dal secondo dopoguerra.
Ciò che rimane dell’11 settembre sono i ricordi dolorosi di una tragedia collettiva che non ha risparmiato, con le sanguinose guerre di ritorsione in Afghanistan e Iraq, anche quella parte di mondo, quello arabo musulmano, considerato l’imputato principale della sofferenza e dei timori per la sicurezza di intere aree geografiche. Tanta sofferenza sembrò svanire alla notizia dell’uccisione del principale responsabile di quegli atti, quell’Osama bin Laden diventato icona di tutti i mali di un mondo che, invece, si stava modificando celermente, arricchendo di nuovi protagonisti la scena internazionale.
E così, mentre l’Occidente cercava un riscatto, convinto, buttandosi a capofitto in una guerra ad oltranza al terrore, di bloccare ogni tentativo di destabilizzazione e di discussione della sua superiorità morale e politica, il resto del mondo procedeva speditamente verso obiettivi di crescita, come l’America Latina, l’India e la Cina, o di riscatto economico e sociale, come l’Africa. Ora, costoro, sono i veri antagonisti del dominio economico statunitense e di un’Europa che l’ha sostenuto e copiato.
Così, mentre l’Occidente, Stati Uniti intesta, concentrato a combattere i nuovi nemici, a cui affiancava obiettivi ambiziosi di dominio delle fonti energetiche, delegava le sorti dei propri destini futuri ai campi di battaglia, una parte di mondo cresceva e si rafforzava.
Ma il ritiro da quegli scenari e il rapido dissolvimento dell’euforia per l’uccisione di bin Laden – a cui hanno contribuito un cinismo e una diffidenza cresciuti negli anni per troppe bugie e omissioni - stanno rivelando al mondo intero che gli Stati Uniti hanno perso tempo, ma soprattutto risorse umane e finanziarie, senza ottenere per il mondo da loro controllato quella stabilità tanto desiderata all’indomani dell’11 settembre.
Gravi crisi finanziarie, senza precedenti – anche perché è del tutto inutile confrontarle con quelle del ’29, per troppa distanza di tempo, situazioni e protagonisti - ma soprattutto grande destabilizzazione in tutti gli scenari geografici, dal Nord Africa, all'Asia centrale, passando da un Medio Oriente con le sue rinnovate minacce di guerra, fanno comprendere quanto certi modelli, politici, economici, ma soprattutto finanziari e militari, siano stati la vera catastrofe del dopo 11 Settembre.
11/9/2011
11/9/2011