Global Trends & Security Politica internazionale e Sicurezza, di Germana Tappero Merlo
  • Home
  • Geopolitica & Sicurezza
  • Middle East & North Africa
  • AFRICA
  • ASIA
  • TERRORISMO & JIHAD
  • Estremismo violento
  • Intelligence & Cyber
Home » Estremismo violento » Buffalo, l'ultima strage di un'America democratica in crisi, 15/5/2022
stampa pagina
  • <<
  • >>
 

Buffalo, l'ultima strage di un'America democratica in crisi, 15/5/2022

Buffalo, l'ultima strage di un'America democratica  in crisi, 15/5/2022 - Global Trends & Security

Payton Gendron, diciottenne, bianco americano, ha eseguito una ‘perfetta strage’ come da copione: tuta mimetica, armi automatiche, luogo affollato, vittime a caso purché neri, diretta streaming del crimine sulla piattaforma gaming Twitch, con una precedente anticipazione circa il suo gesto da suprematista bianco, come si è definito in una sorta di manifesto  di 106 pagine, pubblicato sul proprio profilo nei social network. Il risultato di quest’ennesimo ‘crimine d’odio e un atto di estremismo violento di matrice razziale’, come è stato etichettato dagli inquirenti, è di 10 morti e, al momento, 3 feriti. E’ la strage che si è consumata a Buffalo, New York, nel pomeriggio di sabato, quando in Italia era notte. Il ragazzo si è poi consegnato alla polizia, in apparenza dopo un tentativo di suicidio. Apparente, appunto,  perché sopravvivere al proprio crimine è ormai per questi mass-shooter la  parte celebrativa di un copione ben preciso. Rappresenta infatti il suo finale glorificante, quello proprio del  vero martire di questa frangia estrema che, a differenza del  jihadista che muore uccidendo per  divenire così martire e, quindi, testimone della sua guerra santa,  costui  consegna la sua vita ad una lunga detenzione carceraria, elevandosi così, in tal modo, a promotore-martire, perché vivo ma sacrificato, della sua causa.

E’ questo il sunto di quello che caratterizza da tempo le stragi, quei mass shooting dettati da odio, quasi sempre razziale, che falciano le vite di molti americani ogni anno. La strage di Buffalo si colloca come ennesimo incidente di un numero crescente di sparatorie di massa negli Stati Uniti che, secondo il Gun Violence Archive, si attesta sui 200 per anno, e dove  un mass shooting o  sparatoria di massa è  un incidente in cui vengono uccise quattro o più persone, escluso l'assassino. David Neiwert, giornalista  e massimo esperto dell’estremismo violento, affermava già alcuni anni fa che queste sparatorie provocano 33mila morti l’anno fra i cittadini statunitensi e che “nessuno ha mai proposto una qualche confisca di armi di massa né alcuna legge in grado di mettere in pericolo il Secondo emendamento”[1].  Un dibattito che si accende rabbiosamente all’indomani di questi atti, per poi spegnersi velocemente, perché “gli Stati Uniti si sono formati e consolidati attraverso l’uso delle armi: tuttora, in effetti, il loro possesso rappresenta una ‘garanzia sociale’ di equilibrio, un ‘diritto inalienabile’ del cittadino e un discreto giro di affari”[2]. Si sprecano infatti gli studi, i commenti e i giudizi su un’America troppo armata, con il continuo richiamo  a questo emendamento che, seppur permetta il possesso e l’uso delle armi, non ne vieta  il regolamento da parte delle autorità centrali: ma questo è un argomento che non piace alle frange più estreme  dei sostenitori delle armi libere che vi vedono, appunto, un tentativo di imporre limitazioni restrittive alle libertà individuali fondanti quella nazione[3]. 

Non è un caso che il picco di violenza di questo tipo, registrato negli Stati Uniti dall'estate 2020, si sia dimostrato come  un fenomeno globale, in città e Stati con leggi sulle armi sia permissive che  rigide, con pubblici ministeri di entrambi gli schieramenti politici, progressisti e conservatori, nonché sindaci e governatori repubblicani e democratici. L’America ferita dalle azioni violente  è quindi l’America che sconta il suo attaccamento  ai miti e ai valori dei Padri fondatori, ma che ora, più che in passato, si sente minacciata nella sua identità, quella originaria, di migranti puritani, bianchi ed europei.

Non è un caso che stiano aumentando stragi a sfondo razziale: il ragazzo di Buffalo si è infatti dichiarato suprematista bianco, là dove, in una nazione multirazziale, multietnica e multilinguistica, come lo sono da decenni gli Stati Uniti, l’uomo bianco, autoctono, si sente emarginato, messo in secondo se non addirittura in fondo alla scala delle priorità economiche e sociali, da parte di una politica, quella di una ‘società aperta’, che privilegia minoranze, dai latinos, agli asiatici sino ai neri, appunto, anche se cittadini americani. Non è raro, quindi, che queste stragi vengano anche definite, da alcuni loro criminali autori, come ‘guerre sante razziali’. Ma la razza è il pretesto e solo una delle cause che portano ad una crescente radicalizzazione dell’odio sociale, diffuso proprio per via della tolleranza, dell’integrazione di queste minoranze ‘altre’ rispetto ai bianchi, percepite come il Nemico da combattere perché, a loro avviso, cavalcano quel senso di colpa dovuto allo schiavismo di quasi due secoli di storia americana, che si è poi trasformato nelle leggi segregazioniste del secolo scorso, e che ora appare sotto vesti nuove, e di certo come un fardello mai superato. Ecco, è appunto nella radicalizzazione dell’odio sociale che vanno cercate le ragioni di tanta efferatezza.

Nelle dichiarazioni-manifesto pubblicate prima di queste stragi dominano termini come ‘resistenza bianca’, ‘estinzione dell’uomo bianco’, ‘genocidio dell’uomo bianco’, con buona dose di letture cospirazioniste in cui l’americano bianco, middle e labour class è vittima sacrificale di una politica discriminatoria, questa sì razziale propria di un establishment liberale e progressista che ha fatto dell’inclusione, del politically correct e della cancel culture gli strumenti di oppressione della vera identità  bianca americana. E la loro risposta, non a caso, è White Lives Matters quella che, poco più di un anno fa, si è scontrata, per la prima volta, con manifestanti ‘nemici’ dei Black Lives Matters, a dimostrazione che la questione razziale, negli Usa, non è affatto risolta. 

Al contrario, ha trovato linfa vitale anche altrove.

A differenza anche solo del decennio scorso, infatti, queste convinzioni non appartengono più esclusivamente ad organizzazioni suprematiste razziste  come il più noto Ku Klux Klan (a tratti moribondo, a volte sepolto, ma spesso vivo e vegeto), o al più recente e diffuso Christian Identity, ossia alla variegata galassia di un estremismo violento, dai richiami sovente neonazisti, con l’onnipresente antisemitismo, il tutto condito da una buona dose di fondamentalismo cristiano. La convinzione di un razza bianca  ridotta a minoranza, destinata all’estinzione (“i bianchi rischiano di essere condannati, se non fanno più figli; almeno 2,06 per ogni donna”, recita il manifesto-testamento del giovane assassino di Buffalo), e poi perché discriminata economicamente e legalmente a favore invece dei neri e quindi  nemmeno trattata così favorevolmente come  accade invece per altre minoranze razziali ed etniche: sono  tutti argomenti ricorrenti anche di una buona fetta che rappresenta, da alcuni anni,  la nuova politica statunitense, quella trasversale ai due principali partiti. Ed è un fenomeno che sta crescendo, al pari dei disagi da crisi economica da pandemia che ha colpito in particolare quella fascia di popolazione, bianca e americana. Si era sempre mossa in sordina per poi manifestarsi apertamente, appunto, trovando, a tratti, e non sempre coerentemente, il sostegno anche di esponenti ai massimi livelli, come con  la presidenza Trump, ad esempio. E’ invece ora un’America che soffre e che ha deciso di manifestare il proprio disagio: se contenuta, si limita a manifestare come dimostrano i sempre più numerosi  e nutriti cortei di  bianchi, esponenti di una classe media moribonda se non operaia degli Stati Uniti più profondi, quella “che un tempo riempiva le chiese, coltivava le terre e faceva funzionare le industrie. Quel mondo che non c’è più, al suo posto solo ruggine e rabbia”, come ben recita Elegia americana di J.D. Vance[4]. 

Ma  appunto questa rabbia non sempre viene frenata, come dimostrato dall’assalto al Campidoglio, il 6 gennaio 2021. In fondo, erano costoro a urlare, assaltare, scassare e invadere quelle stanze del ‘potere corrotto’. Un evento certamente unico, ma non più così raro. Se esasperato, se unito a frustrazioni personali con buona dose di radicalizzazione dell’odio sociale, ecco materializzarsi milizie armate, legalmente, di difensori identitari, di cui abbonda la provincia americana, sino agli estremi, quelle stragi assurde come quest’ultima, l’altra notte a Buffalo.

 



[1] D. Neiwert, Alt-America. The Rise of the Radical Right in the Age of Trump, 2017.

[2] F. Franzin, L’altra America. L’anima profonda degli Stati Uniti, dall’identità sudista al fenomeno Trump, 2022.

[3] G. Tappero Merlo, Dalla paura all’odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo, 2022. 

[4] J.D. Vance, Elegia americana, 2017.

 

La Porta di Vetro

Chi sono

Chi sono - Global Trends & Security

Analista di politica e sicurezza internazionale, opero attualmente presso enti privati in Israele, Giordania, Stati Uniti e Venezuela. Ho svolto attività di consulenza sul terrorismo per organismi governativi e privati in Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Libia, Tunisia, Niger, Messico e Brasile.

Chi sono - Global Trends & Security

18 febbraio 2022. Uscita del mio volume "Dalla paura all'odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo", Tangram Edizioni Scientifiche. Trento. " Il volume è il risultato di analisi e operatività sul campo che l’autrice ha condotto negli ultimi due anni circa fenomeni globali legati all’eversione e al terrorismo, sia di matrice islamista jihadista che dell’ultradestra violenta. Vengono analizzati soggetti e dottrine in un contesto di evoluzione delle relazioni internazionali e dei nuovi conflitti ibridi e identitari, in cui il terrorismo è tattica dominante. Sono inoltre delineati i processi, personali e collettivi, di radicalizzazione sia religiosa che politica, da cui derivano educazione e cultura alla violenza. Queste ultime acquisiscono un ampio pubblico attraverso la rete internet, anche nei suoi meandri più oscuri e tramite forme di comunicazione, qui analizzate, che trovano ampio utilizzo da parte delle nuove generazioni di nativi digitali. A ciò si sono aggiunti i toni aggressivi delle più recenti narrazioni cospirazioniste, originate sia da eventi interni a Stati democratici occidentali che da quelli emergenziali da pandemia. A vent’anni dalla paura del terrore proprio dell’11 settembre 2001, si sta procedendo velocemente, quindi, verso un livore generalizzato, a tratti vero e proprio odio, da cui una cultura di violenza politica dai legami transnazionali e che mira all’eversione, con i relativi rischi per la sicurezza nazionale."

  • 29/01/2023 06:06 am
  • Nº pagine viste 381790
© Copyright  2023 Global Trends & Security. All rights reserved. |