Il rapporto Global Trends è un appuntamento molto atteso dagli addetti ai lavori: si tratta di una pubblicazione, che avviene ogni quattro anni, del National Intelligence Council (NIC), che ha come obiettivo – non la pretesa – di individuare quali potrebbero essere le tendenze future di un mondo che è in continua evoluzione, con lo scopo − si legge nel suo executive summary – di stimolare riflessioni circa i rapidi e vasti mutamenti che lo caratterizzano. L’arco temporale di previsione si estende dai 15 ai 20 anni, con un occhio al passato e una particolare attenzione per il futuro, soprattutto degli Stati Uniti. Il NIC, infatti, è un organismo che raccoglie tutte le agenzie di intelligence statunitense e ne elabora i rapporti, si avvale della collaborazione di università americane e di confronti in seminari internazionali, oltre a centri studi del mondo imprenditoriale, a scienziati e – ed è la novità per questo quinto rapporto – a un blog pubblico in cui è possibile partecipare sui principali temi contenuti nel rapporto. Si tratta per lo più di stimolare la comunità internazionale al dialogo sulle sfide future, al fine – si augurano i suoi redattori - possa trovare modi pacifici per affrontarle.
Il titolo Alternative Worlds è la logica – nonché confermata - continuità con quanto previsto nel precedente rapporto del 2008 in cui, senza mezza termini e a pochi mesi dalla più grave crisi finanziaria dopo il ‘29, i suoi redattori parlavano chiaramente del declino della nazione americana, caduta in una crisi economica così grave da non poterne più uscire nei prossimi decenni. Allora se ne parlò poco di questo rapporto: i toni erano così critici da essere considerati più il risultato di quegli avvenimenti troppo vicini e non ancora accettati che una previsione circa il futuro di quella che era l’unica superpotenza economica e militare, la cui mission era la lotta contro il terrorismo e la democratizzazione di vaste aree del mondo. Impossibile immaginare il suo declino.
Eppure, il nuovo rapporto parla chiaro: oltre a sottolineare come il declino economico degli Stati Uniti sia iniziato già negli anni ’60, per subire un’accelerazione ad inizio del nuovo millennio con l’arrivo della Cina sulla scena internazionale ( p.101), altri mondi sono all’orizzonte e saranno l’alternativa a quel unipolar moment e a quella pax americana, intesa come l’era, iniziata nel 1945, della supremazia statunitense nella politica internazionale (pag.X).
Non si tratta di individuare una successione chiara e definita, quanto piuttosto di sottolineare la comparsa di soggetti che, aiutati da vari fattori, tra cui l’innovazione tecnologica, stanno scalzando gli Stati Uniti dal ruolo di superpotenza e “poliziotto globale”. Un contributo, in tal senso, è dato dall’impossibilità per gli Stati Uniti a mantenere gli attuali livelli di spesa per la difesa, in parte perché quelle risorse sono state dirottate verso altri programmi di welfare e, in parte, per gli effetti negativi sulle finanze statali dovuti alla recessione economica e le minori entrate fiscali (pag. 102). Ne deriva, secondo il documento, che andrà diminuendo il divario con altre nazioni, anche alleate, finendo per influenzare anche il rapporto di potenza della nazione americana con i suoi partner storici. E un breve accenno viene fatto anche nei riguardi dell’Unione Europea, che potrebbe sopravvivere alla sua crisi, ma “come un guscio vuoto attorno a un continente frammentato” (p. 106).
Tuttavia, e sebbene di fronte a un potere a più soggetti (multifaced) per la comparsa di numerosi attori protagonisti differenti, il ruolo di potenza degli Stati Uniti verrebbe garantito dalla loro leadership nel gestire le reti di social network e di comunicazione, ossia internet (p. 104). Un’affermazione forte, che potrebbe passare inosservata, ma che conferma quanto le nuove tecnologie di comunicazione abbiano contribuito enormemente non solo a forgiare l’attuale globalizzazione - di stampo prettamente occidentale - ma a diventare, soprattutto, il vero motore su cui ruota il consenso ad essa, ai suoi valori e alla sua cultura di fondo e, di conseguenza, ai suoi stili di vita, politica, economica e sociale.
Il rapporto, quindi, evidenzia costantemente il ruolo di leader degli Stati Uniti, ma è anche chiaramente sottinteso, in tutte le sue parti e nei suoi scenari, la diminuzione costante della sua importanza, ribadendo regolarmente la ridotta capacità della nazione americana a far fronte alle sue emergenze economiche e finanziarie.
Il ruolo futuro della potenza statunitense è, quindi, difficile da prevedere e il suo grado di influenza potrà variare ampiamente, a causa di numerosi fattori , primo fra tutti la sua capacità a gestire, con più o meno successo, le crisi internazionali (si parla di “abilità diplomatica e comportamento costruttivo”, pagg. 104; 107) e, soprattutto, il venir meno di un fattore economico strategico, ossia il dollaro, non più moneta di riserva globale, perché scalzato da un’altra valuta o un paniere di più valute. Questa considerazione sarebbe la dimostrazione – la più acuta – della perdita di posizione dell’egemonia economica statunitense, che finirà per minare anche l’influenza politica di Washington su potenze regionali, come Cina, India e Russia. Ed è ciò che è già successo alla Gran Bretagna e al suo impero alla fine della Seconda guerra mondiale: quindi, nulla di nuovo e, aggiungiamo noi, nemmeno imprevedibile.
E che l’Asia diventi potenza economica e creditrice del mondo, è solo una questione di tempo, prima che le sue monete assumano anche uno status globale più grande (pag.108).In pratica, la nuova realtà economica e finanziaria, nata dalla grande recessione degli ultimi cinque anni, fa da sottofondo all’intero rapporto, ai suoi scenari con i nuovi protagonisti, e le loro possibili evoluzioni.
Gli elementi di riflessione di questo rapporto, dalla lettura veloce e dai toni accattivanti, sono numerosi: tuttavia, quel che mi preme evidenziare sono quelli che riconducono a due fattori che maggiormente interessano questo sito, ossia il ruolo della tecnologia e i problemi legati alla sicurezza. Ne rimangono fuori numerosi altri, fra cui anche l’urbanizzazione, i cambiamenti climatici e i rischi ambientali, l’aumento demografico e, di conseguenza, quello della domanda di beni primari, come l’acqua, sino all’energia: lascio ad altri analizzare questi elementi, concentrandomi sulle previsioni circa questi due fattori a me più consoni.
Rispetto al rapporto precedente, infatti, il tema della sicurezza appare con toni gravi fin dalle sue primissime pagine, quando afferma che “Spinti delle nuove tecnologie, gli attori non statali saranno protagonisti nell’affrontare le sfide globali” (pag. ii). E’ vero che si tratta dello scenario più pessimistico: ma dopo la lettura dell’intero rapporto, l’eventualità di una presenza sempre più grande e prepotente di elementi o soggetti difficilmente inquadrabili come “statali” o semplicemente “economici” fa temere che questa evenienza si realizzi concretamente.
Un grosso apporto in questo senso è dato dalle nuove tecnologie: la collaborazione di scienziati – anche se, oltre alla NASA, vi sono contractor privati, come i DoE Laboratories di Sandia e di Oak Ridge – ha permesso al nuovo rapporto di concentrarsi sugli aspetti più allarmanti relativi alle “tecnologie rivoluzionarie” e quanto la crescita economica di un Paese sia dipendente da esse, così come il ruolo degli Stati Uniti in ambiti come l’information technology e internet, in un mondo che vede vaste aree come l’Africa subsahariana o l’India rurale connettersi sempre più velocemente.
Ciò è dovuto a molti fattori, fra i quali un aumento della ricchezza locale e una diminuzione dei costi dei mezzi tecnologici (a cui contribuisce la rivoluzione della cloud architecture) e delle connessioni : dal 2015, sostiene il rapporto, per le popolazioni dell’Africa, dell’Asia e sino al Medio Oriente, ci sarà più possibilità di connettersi che avere elettricità nelle proprie abitazioni (p.55). Ciò farà sì che i social media e la sicurezza informatica rappresenteranno i nuovi mercati e gli ambiti in cui potranno espandersi gli interessi economici di realtà produttive emergenti, con l’inevitabile conseguenza di una loro maggiore conoscenza, formazione, e specializzazione in quei settori, tanto da far spostare il centro di gravità “tecnologica” dall’Occidente verso l’Oriente e il Sud del mondo (p.86).
Ciò non potrà non avere conseguenze anche per quanto riguarda le nuove minacce alla sicurezza e ai diritti della persona, che passano attraverso il controllo dell’informazione, nella sua diffusione digitale, così come a quello dello stoccaggio e della elaborazione di dati, anche sensibili (da quelli personali, a quelli industriali, come piani finanziari e brevetti), sino al controllo delle nuove forme di aggregazione sociale e di creazione di consenso.
Ecco che emergono, in tutta la loro gravità, gli aspetti legati alla sicurezza, e non solo informatica, di un Occidente sempre più in crisi e che sta perdendo non solo il suo ruolo di guida ma soprattutto di leader nel forgiare sistemi tecnologici favorevoli al suo modo di gestire le relazioni globali, sia economiche che politiche.
Se si sommano questi dati all’ampia diffusione di strumenti di comunicazione e informazione (dai semplici cellulari agli smartphone e ai tablet, ormai in mano al 70% della popolazione mondiale) in aree finora emarginate – sembra, infatti, svanito quel digital divide che tanto preoccupava gli economisti e gli antropologi di un decennio fa – e al fenomeno, ampiamente previsto dal rapporto, dell’ estremizzazione di elementi aggreganti, come la religione e il nazionalismo-separatismo (pag. 13-14) al posto delle vecchie ideologie scomparse con la guerra fredda, si possono immaginare scenari inquietanti. Un primo assaggio di tutto ciò si è già avuto con le sommosse della c.d. primavera araba: forse si è esagerato sul ruolo effettivo dei social network, ma certamente, la possibilità di aggregare le masse più velocemente e soprattutto la rapidità della diffusione delle informazioni al di fuori di quelle aree, creando consenso, hanno dimostrato come sia in atto una rivoluzione anche nel modo di fare politica interna e internazionale.
E ciò vale per vaste aree, finora considerate ai margini, come il Sud-Est asiatico o l’Africa sub-sahariana, nelle quali, però, persistono elementi di contrasto e conflitto facilmente manipolabili e in grado di deflagrare da un momento all’altro. Il rapporto non è esplicito in tal senso, ma sottintende quel che è ormai un dato acquisito, ossia il grande scontro fra potenze – Stati Uniti e Occidente, da un lato, e Cina, Russia e potenze regionali, come India e Iran, dall’altro – in Asia centrale e nel continente africano, in quest’ultimo, in particolare dopo – e a causa del – conflitto in Libia (si pensi alla destabilizzazione del Mali).
Non da ultimo, anche l’America centrale e l’area caraibica rappresenteranno in futuro zone critiche per la sicurezza, data la stessa facilità di dotazione di mezzi e di connessioni, e la tradizionale propensione al crimine legato al narcotraffico, a cui la decennale lotta da parte di organismi statali e sovranazionali pare abbia dato più impulso che freno.
Inoltre, sempre secondo il rapporto, un ampio spettro di mezzi da guerra, ad alta precisione, armi cibernetiche e chimiche-biologiche, sarà, infatti, più accessibile, tanto che singoli individui o piccoli gruppi, soprattutto criminali, avranno la possibilità di perpetrare una violenza su larga scala e un’instabilità globale, eventi di cui erano capaci, un tempo, solo attori statali. Così come la possibilità di un’aumentata proliferazione di armi nucleari potrebbe portare a utilizzare la deterrenza di fronte al rischio di guerre, soprattutto nel Sud-Est asiatico e in Medio Oriente.
In pratica, e per quel che concerne la relazione tecnologia-sicurezza globale, si prospettano scenari inquietanti perché si è presa ormai coscienza dell’inevitabilità della sua influenza nei rapporti internazionali, a cui contribuiscono fattori che il documento del NIC evidenzia come strategici per i prossimi anni.
Il primo e più preoccupante fra questi fattori è dato dalla transizione dal vecchio al nuovo ordine mondiale, in una fase di mutazione fra le più lunghe della storia contemporanea: se dopo i grandi conflitti, dalla fine del XIX secolo e per tutto quello seguente, erano necessari pochi anni di “assestamento” verso un ordine concorde alle potenze uscite vittoriose da quegli scontri, dopo la fine della guerra fredda e gli stravolgimenti dell’ordine politico ed economico dovuti all’attuale crisi, i tempi paiono essersi dilatati; il passaggio da un mondo “unipolare” a “multipolare” non si completerà nemmeno entro il 2030 (pag. 101), rendendo pressoché impossibile definire ad oggi quale sarà la sua vera natura. Le stesse potenze emergenti non costituiscono blocchi unitari e concordi, come invece era accaduto all’indomani dei grandi conflitti, con l’aggregazione delle nazioni vincitrici in alleanze, anche se poi contrapposte.
Ciò, secondo il rapporto, è dovuto alla mancanza di una visione unitaria alternativa al dominio statunitense: il collasso o l’improvviso ritiro degli Stati Uniti dal loro ruolo di potenza – e con questo si intende soprattutto quello di mediatore nei conflitti – potrebbe portare a un periodo, piuttosto lungo, di anarchia globale, in cui non vi sarebbero né un sistema internazionale stabile e nemmeno una potenza guida alternativa in grado di sostituirli. Insomma, ampi livelli di caos e instabilità che sono emersi durante i confronti fra gli esperti che hanno collaborato alla stesura del rapporto.
Alla base di tutto ciò, quindi, è la comparsa di numerosi attori, non sempre statali ma portatori di interessi economici anche in contrasto fra loro, che non troverebbero nemmeno negli organismi sovranazionali un ambito o un appiglio per la loro soluzione: frammentazione, quindi, e vigorosa limitazione di quella governance multilaterale che – anche se il rapporto non lo afferma chiaramente – è entrata fortemente in crisi già all’indomani della fine della guerra fredda e con la gestione unipolare degli Stati Uniti, dalla guerra del Golfo del 1991 sino a quella libica del 2011 e, ancora più evidente, con la guerra civile e regionale siriana dell’ultimo anno.
E’, quindi, la logica conseguenza della forte limitazione del potere statale di fronte all’aumento dell’importanza e del sempre più vasto ruolo da protagonista di interessi economici. E’ avvalorare, se ancora ce ne fosse bisogno, il dominio dell’economia sulla politica.
La stessa descrizione dei conflitti “regionali” futuri (come in Africa) ruota attorno a un fattore economico fondamentale, come l’accaparramento delle poche risorse strategiche - come l’acqua e le terre coltivabili a fronte di un forte aumento demografico locale - e che si risolverà in conflitti etnici o religiosi. Quindi, il detonatore politico – che siano guerre etniche, religiose o per rivendicazioni territoriali, da cui il separatismo-nazionalismo − risulterà essere solo di facciata a una lotta puramente “economica”. Non si tratta certo di una novità, aggiungiamo noi: si tratta di una lettura ampiamente diffusa del fenomeno bellico dall’origine della storia umana. Tuttavia, l’enfasi data da un rapporto di un organismo statunitense così importante fa la differenza e, per una volta, frena quei giudizi circa una lettura complottistica dei fenomeni bellici contemporanei.
La spiegazione di una presa di posizione così chiara e senza mezzi termini circa la predominanza dell’economia su tutta la politica (e non è cosa da poco, si pensi alle guerre combattute per “motivi umanitari” o per terrorismo e poi rivelatisi con tutt’altri scopi) sta nella preoccupazione dei redattori del NIC circa la maggior accessibilità alle nuove tecnologie letali e distruttive da parte di nuovi soggetti non facilmente inquadrabili e gestibili, e la mancanza di una nazione “poliziotto del mondo”, “mediatrice” e risolutrice di conflitti, come la superpotenza militare statunitense, fortemente indebolita economicamente.
In pratica, vi è il rischio che la sicurezza globale venga stravolta dall’imposizione sulla scena mondiale di innumerevoli elementi, ciascuno portatore di interessi particolari – e che vanno dai gruppi terroristici e criminali sino a interessi più ampi, come entità statali, regionali e imprese multinazionali – e in conflitto fra loro, per il quale non sarà facile mediare.
Ecco che il rapporto cerca di tracciare anche i caratteri salienti dei conflitti futuri, in cui la tecnologia subentrerà in maniera dominante ai modi tradizionali di condurre le guerre: le ragioni sono facilmente intuibili, su cui spicca il desiderio di ridurre l’esposizione dei soldati e delle truppe in situazioni ad alto rischio, a cui si sommano anche minori costi economici. Una direzione in questo senso sarebbe già stata tracciata dall’ampio uso di strumenti come i droni, in operazioni di spionaggio o di lancio di missili. Dal 2030, il rapporto, prevede un loro esteso utilizzo anche nel monitoraggio dei conflitti intra statali e interstatali, con i relativi problemi di affidabilità e di sicurezza a cui ci siamo abituati con le operazioni con i droni sul Pakistan, in Yemen e in Somalia.
In definitiva, in un mondo in continua e rapida evoluzione, fra i fattori protagonisti dei prossimi decenni spiccano, oltre al declino della superpotenza economica, militare e anche politica statunitense, l’innovazione tecnologica, il cui controllo sembra essere destinato a nuovi soggetti ancor oggi antagonisti al modello culturale e di potere occidentali (in cui per ora spicca, fra tutti, la Cina), a cui si potranno affiancare una schiera molto eterogenea di altri elementi, portatori di interessi più disparati e non sempre leciti. Il problema della sicurezza non potrà che assumere caratteri anche dissimili, non sempre concordi a modelli già conosciuti, ma in continua e rapida evoluzione perché, sebbene l’arco temporale sembri abbastanza dilatato (ossia quindici anni) -, anche se non viene espressamente sottolineato dal rapporto - il dinamismo nella ricerca, nella diffusione e nella assimilazione delle informazioni e della conoscenza, ha accorciato i tempi di reazione a qualsiasi mutamento, sia esso politico, economico e sociale.
La velocità è un’altra sfida che però non è menzionata nel rapporto, ma che si percepisce come minaccia sottostante ai mutamenti che, nell’arco di poco più di cinque anni, ossia dall’inizio della grave crisi economica, hanno già cambiato radicalmente il ruolo dominante, che si credeva incomparabile, di molte nazioni, soprattutto di una superpotenza come gli Stati Uniti. Il paradosso di questo declino, tuttavia, sta nell’esser stati essi stessi responsabili, con i loro eccessi, della loro decadenza. Parola del NIC e del suo chiaro titolo, Alternative Worlds: ossia, tendenze globali verso un’ alternativa a chi, se non agli Stati Uniti d’America?
31/12/2012
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