Global Trends & Security Politica internazionale e Sicurezza, di Germana Tappero Merlo
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I Balcani, fra estremismi ideologici e minacce alla sicurezza, 16/3/2021

I Balcani, fra estremismi ideologici e minacce alla sicurezza, 16/3/2021 - Global Trends & Security

Impossibile non imbattersi nei Balcani nei report di sicurezza. Vengono messi in evidenza nell’ultima relazione dei nostri servizi segreti, così come nei più recenti rapporti di centri studi europei sul terrorismo e radicalismo islamico, come pure in quelli sulla criminalità organizzata e transnazionale. Da qui le affermazioni circa  i Balcani come “centro continentale del proselitismo (jihadista) e un potenziale incubatore della minaccia terroristica in Europa”,  in cui la convergenza fra circuiti del terrore e quelli della criminalità crea profili ibridi, ossia soggetti a cavallo fra radicalità e delinquenza dediti sia all’attività  di supporto e logistica criminale (immigrati illegali, documenti falsi, armi leggere etc.) sia a quella operativa terroristica. Tutto ciò  favorito dall’elevata presenza dei c.d. returnees, ossia di quei foreign fighters  jihadisti (circa 500 elementi, di cui si ha certezza, ma il numero sembrerebbe più elevato) di rientro dal conflitto siriano, originari del Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Albania e Nord Macedonia - tranne quest’ultimo, tutti gli altri Paesi sono a maggioranza musulmana - e di cui abbondavano i rapporti di sicurezza europei degli ultimi anni. 

Ma le cronache più recenti evidenziano ancora altri elementi che potrebbero portare presto a confronti critici per la stabilità e la sicurezza collettiva di questa parte d’Europa. I protagonisti sono per lo più il Kosovo e la Turchia, laddove il primo ha appena aperto la propria ambasciata a Gerusalemme, riconoscendola in tal modo come capitale di Israele ma urtando, in tal senso, la suscettibilità di Erdogan che, da parecchio tempo ormai, si sente custode di quei Balcani meridionali,  a maggioranza musulmana, dopo l’indebolimento (per scelta) dell’influenza saudita e l’aumento della presenza, invece, dell’Iran. In pratica, nelle ambizioni neo-ottomane di Erdogan, il Kosovo e i Balcani di fede musulmana devono orbitare attorno alla Turchia, per rifondare quella ‘Rumelia’, ossia quella ‘terra dei romani’ - termine  che indicava dal XV secolo la regione balcanica dell’Impero ottomano - di fede e cultura esclusivamente musulmana. Un progetto turco che  aveva già infastidito l’amministrazione  Trump e che proprio in Israele e nei suoi buoni rapporti con il Kosovo - grazie anche agli aiuti umanitari ebraici dopo il terremoto del 2019 – vi vedeva uno stratagemma per porre un freno all’espansione culturale e di influenza di Erdogan in quella parte di Europa. Un Kosovo che è anche un paese musulmano, quindi un’altra pedina nei piani di Trump per il riavvicinamento di quel mondo ad Israele, dopo EAU, Bahrein, Sudan, Marocco, Qatar e forse Arabia Saudita. La decisione kosovara circa Gerusalemme ebraica potrebbe quindi portare ad un’intensificazione  della penetrazione turca nei Balcani, perché Erdogan è ben conscio che proprio da lì si proietta l’influenza delle medie potenze del Vicino Oriente sul Vecchio Continente. Le alternative sono poche, ossia le alleanze strategiche con Serbia o Bosnia, oppure poggiare dal  centro della penisola, e il Kosovo è l’avamposto ideale.

L’espansione neo-ottomana di Erdogan sembrava, infatti, essere una preoccupazione non di poco conto per gli Usa di Trump, ma  pare non essere una priorità per l’Unione Europea e men che mai per la classe politica italiana, laddove il nostro Paese, nella regione balcanica meridionale, è stato surclassato per intraprendenza economica e commerciale persino da Israele. Un metterci  tutti all’angolo, quindi, che sembra essere ormai una costante, come in Libia. Quella nei Balcani, inoltre, sarebbe per  l’Italia solo l’ennesima dimostrazione del suo peso scarso o addirittura nullo nella politica internazionale con i paesi con cui condivide le acque dei mari che la circondano.

Mari che hanno un peso strategico oltre le loro ricchezze in idrocarburi o per le rotte commerciali, e che ispirano movimenti e cause di colore estremo. Lo stesso mar Adriatico, che lambisce le nostre coste e quelle della penisola balcanica è l’elemento chiave di quell’insieme di concetti identitari propri dell’ Intermarium che, riesumati dalla storia del secolo scorso e fatti propri da un’ideologia di movimenti europei dell’estrema destra, anche violenta, richiamano all’unione i Paesi che si affacciano sui tre mari, Baltico, Adriatico e Nero, partendo dalla Lettonia  sino all’Ucraina, per riunirsi in un sostegno collettivo per la sicurezza. Il loro obiettivo è mantenere il massimo di sovranità là dove, come nei Paesi lambiti da quei tre mari, ci si sente immersi e minacciati da un ambiente ostile. I nemici a cui i sostenitori dell’Intermarium fanno riferimento, come il Movimento Azov ucraino, di chiara ispirazione nazifascista, è il neo-bolscevismo della Russia di Putin, come pure l’Unione Europea, dato che, come si legge nei loro manifesti programmatici, è colma di “neo-bolscevismo neo-liberale, multiculturale, secolare e femminista”; e la Nato, poi, è il suo braccio armato. 

L’Intermarium  si rivela così essere la più chiara esternazione del mancato obiettivo della UE di fare recepire, a quei Paesi dell’Europa dell’Est, l’idea di identità europea e soprattutto la  sua Cooperazione strutturata permanente (PESCO) come politica di sicurezza e di difesa comune.

Il centro nevralgico di questo ennesimo corso ideologico identitario estremo, proprio dell’Intermarium, è la Lettonia  da dove piccoli gruppi della destra radicale  riescono ad organizzare incontri e raduni, oppure a  far propaganda e proselitismo attraverso piattaforme  digitali, finendo per unire  l’estremismo violento dal Baltico, appunto, al Mar Nero, in particolare all’Ucraina, passando per i Balcani cristiani e cattolici (Serbia), e a diffondersi nel resto dell’Europa. L’Intermarium diventa così una alternativa, un terzo partito, un tropo favorito da nazi-fascisti e conservatori nazionalisti, che si considerano i veri difensori dell’Europa. Non hanno bisogno di grandi sponsor, e lo si vede nella chiara opposizione alla Russia, alla UE, alla Nato ma anche nei rapporti molto altalenanti con le amministrazioni statunitensi, testimoniata dalla ferma convinzione che  la difesa della loro identità passa attraverso le loro genti.

La loro chiamata collettiva alle armi è, quindi, una costante e trova sponda nei foreign fighters di segno opposto, ossia quelli di ispirazione nazifascista, di ritorno o ancora impegnati nel conflitto stagnante ma vigoroso in Ucraina, di cui il Movimento Azov è il riferimento ideologico, al pari di un’ al-Qaeda o un Isis per il versante radicale musulmano.

Fenomeni quindi in grado di riaccendere realmente lo scontro di civiltà, in nome di una difesa collettiva contro minacce di estinzione (della razza bianca e dei valori cristiani) oppure per riportare in auge un antico impero (quello ottomano). Tutto ciò che si oppone ad essi va eliminato. Una prospettiva di instabilità sull’intera Penisola, quindi, con i suoi conflitti irrisolti e quei circuiti criminali, non così remota e a pochi passi dal nostro territorio, poco oltre i nostri mari o le spiagge croate delle nostre vacanze.

 

16/3/2021

 

La Porta di Vetro

 

Chi sono

Chi sono - Global Trends & Security

Analista di politica e sicurezza internazionale, opero attualmente presso enti privati in Israele, Giordania, Stati Uniti e Venezuela. Ho svolto attività di consulenza sul terrorismo per organismi governativi e privati in Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Libia, Tunisia, Niger, Messico e Brasile.

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18 febbraio 2022. Uscita del mio volume "Dalla paura all'odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo", Tangram Edizioni Scientifiche. Trento. " Il volume è il risultato di analisi e operatività sul campo che l’autrice ha condotto negli ultimi due anni circa fenomeni globali legati all’eversione e al terrorismo, sia di matrice islamista jihadista che dell’ultradestra violenta. Vengono analizzati soggetti e dottrine in un contesto di evoluzione delle relazioni internazionali e dei nuovi conflitti ibridi e identitari, in cui il terrorismo è tattica dominante. Sono inoltre delineati i processi, personali e collettivi, di radicalizzazione sia religiosa che politica, da cui derivano educazione e cultura alla violenza. Queste ultime acquisiscono un ampio pubblico attraverso la rete internet, anche nei suoi meandri più oscuri e tramite forme di comunicazione, qui analizzate, che trovano ampio utilizzo da parte delle nuove generazioni di nativi digitali. A ciò si sono aggiunti i toni aggressivi delle più recenti narrazioni cospirazioniste, originate sia da eventi interni a Stati democratici occidentali che da quelli emergenziali da pandemia. A vent’anni dalla paura del terrore proprio dell’11 settembre 2001, si sta procedendo velocemente, quindi, verso un livore generalizzato, a tratti vero e proprio odio, da cui una cultura di violenza politica dai legami transnazionali e che mira all’eversione, con i relativi rischi per la sicurezza nazionale."

  • 24/03/2023 12:38 pm
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