L’uscita del film-documentario “VA: the human cost of war” il 6 novembre 2017 è un evento atteso dalla vasta comunità di veterani e reduci delle guerre degli Stati Uniti: una comunità che, nel censimento del 2016, contava 18.5 milioni di cittadini statunitensi, dal personale militare a quello civile impiegato nella gestione della difesa o nella conduzione dei conflitti dalla seconda guerra mondiale alle recenti in Afghanistan e Iraq. Solo in questi ultimi due conflitti, dal 2001 al 2015 (7222 morti e 52251 feriti in azione)*, sono stati impiegati circa 3 milioni di uomini e donne, e oltre la metà è stata presente in quei contesti con doppio mandato. Fra gli attuali 970mila veterani a cui è stata riconosciuta una disabilità a vari gradi dovuta alla partecipazione ai diversi conflitti dal 1941, sono quelli di Afghanistan e Iraq che stanno vivendo il disagio maggiore al loro rientro nella vita civile: fra tutti spiccano, infatti, i dati sui danni al cervello per trauma (TBI, 327.299 casi dal 2000 al 2015), disordine da stress post-traumatico (PTSD,177.461) e amputazioni gravi (1645), con 7 miliardi di dollari l’anno (dati 2014) stanziati dal Pentagono solo per l’emergenza e il recupero della salute mentale di ex-combattenti e di personale militare di supporto. Cifre importanti che vanno ad aggiungersi alle previsioni del costo, dai 3200 ai 4000 miliardi di dollari calcolati nel 2011, come debito totale della lunga guerra contro il terrorismo: “esborsi militari astronomici e dipendenza dal debito” per anni a venire erano gli obiettivi di Osama bin Laden per destabilizzare ed indebolire il “nemico lontano”, ossia gli Stati Uniti. Un lascito funesto che sembra concretizzarsi con conseguenze sul lungo periodo che non sono ancora state adeguatamente calcolate e che sembrano registrare un punto a favore dell’uomo che credeva in tal modo di sconfiggere gli Stati Uniti.
Stando ad indagini e rapporti di numerose organizzazioni statunitensi sui diritti civili, sarebbe infatti di molto superiore il numero di veterani dei conflitti in Afghanistan e Iraq che dal 2001 soffrono di problemi fisici e mentali, frustrati da lunghe attese in liste fantasma per la cattiva e corrotta gestione della Veteran Administration (VA, come testimoniato dallo scandalo che travolse questo ente nel 2014) e senza veder riconosciuto lo status di disabile, con tutto ciò che comporta il loro rientro nella vita civile.
Ecco perché il documentario, con numerose testimonianze, su come la VA collabora con le autorità politiche e militari per il rientro e il reintegro di costoro nella quotidianità, sta suscitando molte aspettative.
Secondo recenti studi, inoltre, uno dei costi più devastanti ma meno conosciuti è il diniego fatto ad un numero crescente di reduci circa il supporto finanziario (per spese sanitarie, studio, ricerca di casa, nuovo lavoro e pensione), a causa di quelli che vengono definiti “bad papers”, ossia i richiami durante il servizio, il più delle volte per lievi violazioni delle regole e della disciplina. Si badi bene, non si tratta di “congedi con disonore”, ma di congedi “other than honorable”, che sembrano essere diventati lo strumento per liberarsi (anche del peso finanziario) di soggetti con condizioni fisiche e mentali compromesse proprio durante il servizio in zone di combattimento. L’aver ricevuto un bad paper significa non godere più di alcun beneficio. Per molti di questi congedati dimostrare di aver diritto ai vantaggi finanziari e di supporto sanitario significa intraprendere una lunga lotta, di mesi o addirittura anni, con meno del 13% di possibilità di successo, a fronte di elevati costi legali.
Poco importa se, nella maggior parte dei casi, quel comportamento non consono sia stato indotto da stress post traumatico, da cui l’uso di medicinali antipsicotici, o per via degli innumerevoli abusi sessuali, da cui il riconosciuto Military Sexual Trauma (MST), di cui è certificata ufficialmente un’ alta percentuale di vittime anche maschili fra le forze armate statunitensi.
Sovente, poi, quel trauma viene fatto risalire più a una mancata diagnosi di “personality disorder” pre-esistente il reclutamento; per cui, e secondo logica burocratica, l’esperienza militare non è responsabile dello shock da violenza sessuale. Se quindi si ricorre a farmaci antipsicotici per superarlo si incorre nell’alto rischio di venire escluso da benefits.
Il paradosso dell’intera vicenda è testimoniato dalla ricorrente giustificazione di un bad paper anche per un uso prolungato di droghe illegali. Le componenti chimiche sotto accusa, tuttavia, sarebbero quelle principali di medicinali ampiamente distribuiti presso le forze armate statunitensi: dalla Dexedrine ai farmaci antimalarici, sino a quel Seroquel, contro l’insonnia - ormai definito dai combattenti “Serokill” - fra gli antipsicotici più abusati da quelle autorità sanitarie militari. Dal 2005 al 2011,e unico dato certificato al momento, l’uso di questi antipsicotici è salito del 1100%, con quel che ne consegue in termini di effetti nel lungo periodo.
Ricadute gravi e pur tuttavia meno considerate dei bad papers riguardano il rientro in famiglia. Il fatto di essere stati congedati senza vedersi riconosciuti benefits è considerato un disonore che sovente finisce per esacerbare situazioni famigliari già critiche fino al divorzio, attraverso il ricorso a violenze fra coniugi ed anche su minori: a luglio 2010 (ultimo dato certo), la violenza sui minori presso famiglie di veterani era di 3 volte superiore rispetto al resto della popolazione US. Un dato preoccupante anche per il lungo periodo se si considerano gli effetti sociali di questi maltrattamenti su una popolazione al momento di giovanissimi.
Tuttavia, come testimoniato da numerosi studi, proprio i veterani vittime di PTSD e TBI, e principali responsabili di quelle violenze, sono quelli maggiormente bisognosi di assistenza per la riabilitazione fisica e psicologica di lungo periodo, da cui il loro abuso di alcool, l’ inevitabile deriva verso il vagabondaggio e la delinquenza (la popolazione carceraria di veterani conta 181mila soggetti, ultimo dato ufficiale 2011-2012) .
I numeri più preoccupanti riguardano, al momento, un altro aspetto, ossia l’alto tasso di suicidi fra veterani e reduci: il fenomeno è sotto osservazione solo dal 2008 e sino al 2014 si registrava una media di 20 suicidi al giorno, salito a 22 negli anni seguenti, tanto che #mission22 è diventato simbolo di lotta, con un sito web (con sottotitolo, “United in the war against veteran suicide.That makes the war at home more dangerous than all of our combat missions around the world”) per la sensibilizzazione e la raccolta fondi per il supporto di veterani in condizioni critiche da PTSD.
L’amministrazione Trump ha proclamato, proprio in questi giorni, il mese di Novembre come il mese dei veterani di tutte le guerre US: non solo più, quindi, il giorno tradizionale, l’11 - scelto già dal presidente Woodrow Wilson a rimembranza della firma dell’armistizio della prima guerra mondiale, nel 1918 - ma un intero mese da dedicare a celebrazioni, parate, conferenze. E’ un tributo che Trump ha voluto riconoscere a quei veterani elettori che, in massa (il 78% di costoro), andarono a votare nel 2016, metà dei quali a sostenere la sua candidatura, dando fiducia alle sue promesse in campagna elettorale circa la volontà di affrontare gli enormi disagi al loro rientro in patria. L’interesse politico verso i veterani è da sempre molto elevato, in particolare nelle ultime campagne presidenziali, dato che i circa 20 milioni di veterani rappresentano comunque il 13% dell’elettorato US. Numero importante dal peso importante, come le promesse fatte ma sovente disattese: da qui la denuncia del documentario in uscita il 6 novembre.
“America first “ di Trump ha voluto, però, significare anche un cambio di direzione su questo problema, con la decisione di aumentare di ulteriori 2.1miliardi di dollari i fondi da destinare alle cure sanitarie dei veterani, con a fianco altresì una riorganizzazione di quella VA inefficace, corrotta e mal gestita. E’ riconoscere ufficialmente che molto deve essere cambiato per il futuro stesso di uomini e donne che hanno creduto e combattuto per i valori democratici fondanti il loro Paese. Per questa loro attitudine all’ubbidienza, i nuovi reduci ci stanno credendo. Starà alle prossime verifiche statistiche e campagne elettorali confermare o no se tutto quanto promesso non si sia risolto ancora una volta in un’ amara delusione.
* I dati variano a seconda delle Operazioni considerate dalle statistiche.
3/11/2017