Global Trends & Security Politica internazionale e Sicurezza, di Germana Tappero Merlo
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Il Sahara Occidentale e il riaccendersi del conflitto. Ombre di jihad, 5/12/2020

Il Sahara Occidentale e il riaccendersi del conflitto. Ombre di jihad, 5/12/2020 - Global Trends & Security

In gergo si chiamano conflitti congelati. Sono quei conflitti che  hanno avuto origine molto, molto tempo fa, ci si ricorda che sono stati cruenti, complessi, lunghi addirittura  infiniti e poi scomparsi, almeno dai media. La storia del secolo scorso ne ha visti nascere e mai concludersi parecchi. Fra questi, di recente, sono ritornati agli onori della cronaca almeno tre: Armenia e Azerbaijan per il Ngorno-Karabakh, Etiopia ed Eritrea a causa delle intemperanze del Tigré e, nelle ultime settimane, quello fra il Marocco e le milizie del Polisario, quel Fronte Popolare per la Liberazione del Sahara Occidentale di Saguia el- Hamra e Rio de Oro, ossia di quel dominio un tempo spagnolo e ora territorio marocchino che Polisario vorrebbe invece indipendente  sotto il nome di Repubblica Araba del Sahara Occidentale.

La tregua fra questi soggetti, che durava da 29 anni, sarebbe stata violata dalle forze regolari di Rabat in risposta al blocco armato da parte di miliziani del Polisario della via commerciale principale, passante per la zona cuscinetto di Guergarat, che dal Marocco porta verso la Mauritania e il sud del Sahel. La risposta marocchina sarebbe stata così dura da farla definire dal Polisario un “atto di guerra”. Un’affermazione che non porta a nulla di buono, là dove il Polisario è ospitato, armato e supportato dall’Algeria da sempre contraria al Progetto di Unione del Maghreb sostenuto dal re del Marocco, e la cui realizzazione gravita nella soluzione del contendere per il Sahara Occidentale. Ogni qual volta ci si avvicina ad attuare l’Unione con una fattibile soluzione per il Sahara occidentale, interviene il Fronte Polisario, con incursioni armate dai suoi santuari in Algeria e Mauritania, con relativa reazione da parte del Marocco. E così 100 milioni di magrebini, che potrebbero beneficiare economicamente dall’Unione del Maghreb, diventano ostaggio dell’ostinata opposizione di 200mila Sahrawi, ossia quegli arabi-berberi unici ad avere il diritto di reclamare quella regione, la cui causa diventa violenta  in mano al Polisario.

L’Algeria si serve delle prestazioni militari di quest’ultimo per garantirsi l’accesso diretto all’Atlantico e alle risorse del Sahara occidentale. La sua presenza è, in particolare,  attorno a Tindouf,  città algerina che ospita, tra l’altro, campi profughi dei Sahrawi,  vittime sacrificali di quelle contese che ora non hanno più un carattere solo locale ma quella di vera e propria proiezione di potenza straniera, come lo erano un tempo, durante la guerra fredda, quando il Sahara occidentale era oggetto del  teatro di guerra per procura fra Usa e Urss.

A riaccendere, infatti, i toni di questo conflitto fra Polisario-Algeria e Marocco, si sono andate inserendo negli ultimi mesi rivalità fra  soggetti anche distanti geograficamente da quella porzione di Africa, le cui ambizioni di influenza e controllo paiono non essere più un mistero.

I due  assi nascenti contendenti sono rappresentati da un lato dalla Turchia, Pakistan e Iran (a supporto dell’Algeria) e dall’altro da Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Bahrein (pro Marocco). In pratica un blocco musulmano non-arabo contro quello musulmano arabo. Il primo  ricalca un’eredità storica, essendo stata l’Algeria  resistente da sempre alle pressioni di altri Paesi arabi e vicina un tempo all’Unione Sovietica e ora alla Russia (da qui le affinità con l’Iran); mentre il Marocco è da sempre un baluardo certo e solido dell’altro schieramento più vicino agli Stati Uniti.  Ad essere particolarmente agguerriti in questo faccia a faccia sul Sahara Occidentale sarebbero, manco a dirlo, la Turchia  e gli EAU. La prima guarda al suo controllo del Sahara Occidentale come la chiusa di un cerchio turco-africano che parte dal Corno d’Africa, in particolare dalla Somalia dove Ankara, fra gli innumerevoli interventi, gestisce infrastrutture critiche (il porto di Mogadiscio) e in cui disloca la  sua più grande struttura di addestramento militare d’oltremare, per arrivare appunto all’Atlantico. Ed è qui che l’Algeria ha un ruolo strategico, essendo il secondo partner commerciale africano della Turchia, dopo l’Egitto con cui, al momento, sta ai ferri corti anche per via della Libia.

L’altro soggetto sono appunto gli EAU, che hanno deciso di estendere il loro raggio d’azione e influenza in funzione antiturca in quella parte di Africa. E il Sahara Occidentale è solo uno dei tanti argomenti che vedono contrapposti Abu Dhabi e Ankara: dalla Libia, al gas naturale nel Mediterraneo orientale, passando dal destino del Mar Rosso e appunto quello del Corno d’Africa. Da qui il supporto di EAU al Marocco nel confronto con  il Polisario, sostenuto  invece ampiamente dall’Algeria, come partner strategico, a questo punto ‘armato’, della Turchia.

Ma questo gioco di pedine rischia un’evoluzione pericolosa per la stabilità dell’intera area.

Nelle tensioni fra queste piccole ma prepotenti potenze si sta insinuando, con violenza, il tarlo oscuro del jihadismo. Appelli alla violenza e al jihad stanno infatti comparendo in video trasmessi via social da soggetti appartenenti al Polisario: un incitamento ai giovani alla lotta armata e agli attentati suicidi. Un appello che pare essere accolto, perché sono proprio i giovani che reclamano un’azione più aggressiva per l’indipendenza. Qualsiasi cosa, per costoro, è più accettabile che l’attuale stasi che per loro non porta ad alternative di vita. E  il nemico da colpire è il Marocco.

I video mostrano adolescenti, in mimetica, con tanto di bandiera del Polisario, che inneggiano alla guerra e alla lotta, in una modalità che ricorda quella jihadista. Gli appelli paiono essere stati registrati proprio a Tindouf, in quel campo profughi dei Sahrawi in cui ha vissuto per anni Adnan Abu Walid al-Sahrawi a capo, ora, dello Stato Islamico del Grande Sahara, su cui pende una taglia di 5 milioni di dollari per la morte di 4 militari statunitensi in Niger. Al suo marchio corrisponde l’affiliazione a quello Stato Islamico che seppur in difficoltà nel Vicino Oriente è in forte ascesa nel Sahel, laddove ciò che gli sta sopravvivendo, ossia i suoi principi ideologici (aqeeda) e quelli strategici (manhaj) trovano accoglienza e applicazione, come risultato principale del suo proiettarsi oltre i confini operativi tradizionali, contribuendo  così al suo carattere transnazionale e alla perpetuazione del suo progetto.

Ecco perché si temono infiltrazioni jihadiste filo Isis fra quelle tende di Sahrawi senzapatria.

Proprio questo Stato Islamico del Grande Sahara  è protagonista di brutali violenze dal Mali, alla Mauritania sino al Burkina Faso e contrastato, in quei luoghi, per lo più dalla Francia, non a caso fra i più agguerriti avversari della Turchia in tutti gli attuali scenari di crisi e guerre. Non si tratta però  di coincidenze. Non ci sono mai banali e scontate coincidenze nelle turbolenti relazioni internazionali, soprattutto di quest’ultimo ventennio. E il recuperato vigore di conflitti congelati e sospesi del secolo scorso, attraverso l’afflato di un jihadismo sponsorizzato da medie potenze e accolto da alcuni di quei vecchi protagonisti, come il Fronte Polisario, ne è la conseguenza e al contempo la testimonianza più drammatica, gravida di incognite per il futuro di molte regioni.

 

5/12/2020

 

Photo: gettyimages

Chi sono

Chi sono - Global Trends & Security

Analista di politica e sicurezza internazionale, opero attualmente presso enti privati in Israele, Giordania, Stati Uniti e Venezuela. Ho svolto attività di consulenza sul terrorismo per organismi governativi e privati in Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Libia, Tunisia, Niger, Messico e Brasile.

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18 febbraio 2022. Uscita del mio volume "Dalla paura all'odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo", Tangram Edizioni Scientifiche. Trento. " Il volume è il risultato di analisi e operatività sul campo che l’autrice ha condotto negli ultimi due anni circa fenomeni globali legati all’eversione e al terrorismo, sia di matrice islamista jihadista che dell’ultradestra violenta. Vengono analizzati soggetti e dottrine in un contesto di evoluzione delle relazioni internazionali e dei nuovi conflitti ibridi e identitari, in cui il terrorismo è tattica dominante. Sono inoltre delineati i processi, personali e collettivi, di radicalizzazione sia religiosa che politica, da cui derivano educazione e cultura alla violenza. Queste ultime acquisiscono un ampio pubblico attraverso la rete internet, anche nei suoi meandri più oscuri e tramite forme di comunicazione, qui analizzate, che trovano ampio utilizzo da parte delle nuove generazioni di nativi digitali. A ciò si sono aggiunti i toni aggressivi delle più recenti narrazioni cospirazioniste, originate sia da eventi interni a Stati democratici occidentali che da quelli emergenziali da pandemia. A vent’anni dalla paura del terrore proprio dell’11 settembre 2001, si sta procedendo velocemente, quindi, verso un livore generalizzato, a tratti vero e proprio odio, da cui una cultura di violenza politica dai legami transnazionali e che mira all’eversione, con i relativi rischi per la sicurezza nazionale."

  • 24/03/2023 01:52 pm
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