Global Trends & Security Politica internazionale e Sicurezza, di Germana Tappero Merlo
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L'odio in nome di Dio. Radicalismo e secolarismo nella politica mondiale 1/11/20

L'odio in nome di Dio. Radicalismo e secolarismo nella politica mondiale 1/11/20 - Global Trends & Security

In una ricerca  di  Ronald F. Inglehart  apparsa sull’ultimo numero di Foreign Affairs, l’autorevole politologo statunitense riprende un tema a lui caro, ossia il confronto fra religione e secolarismo, e afferma che la pratica religiosa e la frequentazione di centri di culto di qualsivoglia credo è drasticamente diminuita  in tutto il mondo, soprattutto in Paesi a crescita economica importante e ad alto Pil. Nemmeno il timore dell’attuale pandemia avrebbe riavvicinato gli esseri umani alla fede. Le cause sarebbero per lo più in un’aumentata influenza della scienza e della tecnologia nelle comunità più avanzate, da cui una maggior razionalità e senso critico verso il soprannaturale che hanno finito per allontanare la massa dalla fede e soprattutto dalla pratica religiosa. Un ruolo determinante lo avrebbe avuto anche  lo sdoganamento di  tabù, soprattutto nel mondo occidentale, sulla vita sessuale e sull’eterogeneità di genere, da secoli cavalli di battaglia delle tradizionali  religioni di ogni dove. Unica eccezione a questo declino, secondo Inglehart, è data dal mondo musulmano che mostra maggior attivismo nella pratica religiosa, da cui più vigore e unità di un tempo. 

Ma è veramente così? Di fatto, stando all’analisi della politica internazionale, alle azioni e dichiarazioni di suoi numerosi protagonisti di peso strategico importante, da Trump, Putin, Erdogan, Modi sino ad Xi Jinping, passando da soggetti di calibro minore, quali il polacco Kaczynski, l’ungherese Orban sino all’israeliano Netanyahu,  Inglehart viene in qualche modo smentito.

Negli ultimi due decenni, infatti, è avvenuto un disaccoppiamento generale  delle principali religioni, che da moderate hanno assunto sempre più toni estremi, con addirittura una polarizzazione al loro interno, da cui il fenomeno della radicalizzazione. E il riavvicinamento della massa alla religione pare seguire questi binari, decisamente di segno opposto rispetto a quelli tradizionali evidenziati da Inglehart. Non si tratta inoltre solo di quella musulmana, ma appunto anche cristiana ed ebraica, con una  forte influenza sui decisori politici che, a loro volta, scoprendo la portata elettorale e consensuale di questa  massa religiosa, ne stanno ampiamente sfruttando le potenzialità.

A discolpa di Inglehart, possiamo affermare che l’odierno fenomeno del forte richiamo a valori religiosi da parte del potere secolare non  è sempre  facilmente visibile. Al contrario, è subdolo,  anche se sovente traspare nelle  dichiarazioni pubbliche e dai gesti di alcuni di alcuni di quei soggetti: Trump, la Bibbia e i continui riferimenti pubblici a valori religiosi; Erdogan, ripreso  in preghiere collettive, Santa Sofia e altri luoghi di culto cristiano ortodosso  riconvertiti in moschee; i richiami di Putin per un ritorno all’unità della chiesa ortodossa messa a rischio dagli scismatici ucraini, o per la loro difesa in Armenia contro il musulmano Azerbaijan, da cui la questione del Nagorno-Karabak, solo per citare i più evidenti e recenti. Per tutti gli altri rimane un qualcosa di intangibile ma potente, in grado di influenzare pesantemente le loro scelte politiche per lo più di sicurezza interna (Modi, Kaczynski, Orban) o perché  strumento di sfogo popolare e addirittura guida per l’élite (confucianesimo per Xi Jinping).  Non si tratta più, quindi, di religioni nella loro pratica tradizionale, pacifica e non divisiva, insomma quella equilibrata e disciplinata  per l’ avvicinamento dell’umano al soprannaturale.  I toni ora sono decisamente più accesi, estremi e radicali, con la religione in grado di influenzare pesantemente la politica interna ma anche internazionale.

Non è un mistero il peso degli evangelici cristiani nella elezione di Trump nel 2016, e già si stanno facendo supposizioni e scommesse su quanto peseranno costoro nelle elezioni presidenziali della prossima settimana. L’espressione estrema, più fondamentalista (identitaria bianca, xenofoba e anti-abortista) di questi evangelici, e che ha ripreso vigore nell’ultimo ventennio, non a  caso dopo l’11 settembre,  è arrivata al punto da influenzare scelte geopolitiche di grande peso strategico, come i rapporti fra Stati Uniti ed Israele. Non vi sarebbe la tradizionale (e laica) comunità ebraica statunitense a spingere per lo spostamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, così come a premere per gli accordi di Abramo fra Israele, Emirati, Bahrein e Sudan. Vi sarebbero, appunto, gli evangelici,  in particolare  quelli riferenti a ciò che è stato definito ‘sionismo cristiano’, in evidente contraddizione al sionismo laico proveniente dall’esperienza collettivista degli insediamenti ebraici antecedenti l’istituzione dello Stato di Israele.

E i numeri di questi evangelici  americani sono importanti: oltre 100 milioni (l’81% votò appunto Trump nel 2016), a cui si stanno affiancando anche frange di cattolici più conservatori, poco convinti delle scelte in politica estera di Papa Francesco, da cui i continui attriti, anche  recenti  fra Washington e Santa Sede (per la Cina, ultimo esempio). E la loro presenza per l’ evangelizzazione, attraverso numerose Ong, con il loro intransigente fondamentalismo cristiano dalle visioni apocalittiche, è capillare in varie e vaste parti del mondo, in tutti i continenti.

Ma movimenti ecclesiali radicali, anche se di credo differente,  con i  relativi appoggi popolari  riguardano anche Putin  ed Erdogan, con livelli di radicalizzazione differenti, ma sempre importanti. Perché, di fondo, quel tipo di approccio fa sì che la teologia diventi ideologia e nel contempo emblema identitario, e la massa ritrovi così  risposte concrete ed unitarie di fronte all’incertezza, alle avversità da pandemia, all’inevitabile sconvolgimento economico, presente e futuro, e così via. Ecco perché poi, anche se si tratta di regimi dittatoriali, trovano sostegno autentico dalle masse per il loro potere, oltre che  una garanzia di continuità.

Nell’analizzare poi fatti di terrorismo ed eversione,  sempre più frequentemente  mi imbatto nel  ricorso a riferimenti di credo religioso di quei criminali, e non solo jihadisti. Non è un mistero che  l’eversione etno-nazionalista nel mondo Occidentale - per semplificare, quella vicina all’estrema destra violenta e al neo-nazismo - faccia sovente riferimento a termini come ‘santi e discepoli’ per  esaltare gli autori di stragi. Anche per loro, come per il jihadista kamikaze, esiste un  martirio (non è la morte, ma essere giudicati colpevoli e scontare una lunga detenzione) che perpetua l’ ideologia ed è fonte di unità e di ispirazione per altre azioni armate  (Breivik docet). La radicalizzazione, che sia jihadista o  di segno ideologico o religioso  opposto,   è semplicemente considerare sacri e non negoziabili i propri valori. Se messi in pericolo, si è disposti ad uccidere per difenderli: la fede e l’Islam, per il musulmano, da cui il jihad; l’identità etnica, razziale, o cristiana per un etno-nazionalista radicalizzato, da cui l’uccisione di  immigrati, neri, ebrei o musulmani, o esponenti politici liberali.

La radicalizzazione, di qualsiasi credo religioso e colore politico, non è nient’altro che la sacralizzazione di quei valori e la chiamata alla loro  difesa armata. Essa si inserisce sempre in epoche della storia in cui l’altro da sé è considerato un’anomalia  e si impone perché coesistono altresì incertezza, diseguaglianza, insicurezza e paura per il proprio incerto futuro. Da questi sentimenti scaturiscono livore, odio e violenza verso ciò che non appartiene al proprio mondo.

E’ il risultato o, per alcuni, la sindrome da social network, laddove quelle piattaforme, al pari dell’intimo di una fede religiosa, si trasformano in recinti blindati, in questo caso al confronto pacifico, perchè di fatto non c’è spazio per il dubbio che, imponendo una continua introspezione personale, possiede un suo valore salvifico.  Esistono, quindi, per i radicalizzati solo certezze assolute, insindacabili. Si tratta di quelle post-verità individuali, ferme ed irrinunciabili, che vanno sovente oltre le parole scritte su un post o un tweet, e che giungono ad incitare  alla violenza o a  riunire milizie armate, come sta accadendo con i poll challengers del Michigan, pronti a rispondere alla chiamata in difesa di Trump  se non dovesse vincere per un margine risicato nel confronto con Biden il prossimo 3 novembre.

Radicalismo  ideologico, religioso e secolarismo, qui, per Trump come, per altri versi, per Erdogan e tanti altri, vanno dunque a braccetto. Sono le nuove religioni, in grado di attirare le masse, abbagliarle alterando la percezione della loro  quotidianità con la promessa, come sempre  accade con ogni  fede religiosa, di una salvezza futura per tutti i credenti. O, in questi casi, per tutti i loro elettori.

 

31/10/2020

in La Porta di Vetro, 1/11/2020 

Chi sono

Chi sono - Global Trends & Security

Analista di politica e sicurezza internazionale, opero attualmente presso enti privati in Israele, Giordania, Stati Uniti e Venezuela. Ho svolto attività di consulenza sul terrorismo per organismi governativi e privati in Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Libia, Tunisia, Niger, Messico e Brasile.

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18 febbraio 2022. Uscita del mio volume "Dalla paura all'odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo", Tangram Edizioni Scientifiche. Trento. " Il volume è il risultato di analisi e operatività sul campo che l’autrice ha condotto negli ultimi due anni circa fenomeni globali legati all’eversione e al terrorismo, sia di matrice islamista jihadista che dell’ultradestra violenta. Vengono analizzati soggetti e dottrine in un contesto di evoluzione delle relazioni internazionali e dei nuovi conflitti ibridi e identitari, in cui il terrorismo è tattica dominante. Sono inoltre delineati i processi, personali e collettivi, di radicalizzazione sia religiosa che politica, da cui derivano educazione e cultura alla violenza. Queste ultime acquisiscono un ampio pubblico attraverso la rete internet, anche nei suoi meandri più oscuri e tramite forme di comunicazione, qui analizzate, che trovano ampio utilizzo da parte delle nuove generazioni di nativi digitali. A ciò si sono aggiunti i toni aggressivi delle più recenti narrazioni cospirazioniste, originate sia da eventi interni a Stati democratici occidentali che da quelli emergenziali da pandemia. A vent’anni dalla paura del terrore proprio dell’11 settembre 2001, si sta procedendo velocemente, quindi, verso un livore generalizzato, a tratti vero e proprio odio, da cui una cultura di violenza politica dai legami transnazionali e che mira all’eversione, con i relativi rischi per la sicurezza nazionale."

  • 24/03/2023 02:10 pm
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