Global Trends & Security Politica internazionale e Sicurezza, di Germana Tappero Merlo
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Nigeria, la persecuzione dei cristiani, 4/9/2021

Nigeria, la persecuzione dei cristiani, 4/9/2021 - Global Trends & Security

C’è una Nigeria così ricca di petrolio e di numerose altre attività produttive legali da renderla uno dei più interessanti attori globali dell’Africa, al quale perfino la Cina è arrivata a strizzare l’occhio. È una federazione di 3 regioni distinte, abitata da oltre 200 milioni di persone – tra i dieci Paesi più popolosi al mondo e il primo dell’Africa – divise in oltre 250 etnie differenti e appartenenti a diverse religioni; un Paese che produce di più di tutta la regione a cui appartiene e con il maggior numero di super-ricchi dell’intero Continente Nero. Potrebbe essere una terra di ricchezze e benessere, in realtà è una vera e propria terra degli estremi, quelli economici, religiosi, criminosi e violenti.
Non è un caso, infatti, che sia quella Nigeria che da almeno venti anni soffre di grave instabilità, fra contrapposizioni violente di gang cultiste – quelle, per intenderci, che compongono la mafia nigeriana – forme di insorgenza e contro-insorgenza, corruzione a tutti i livelli e lotte fra trafficanti e criminali. 

Nell’ultimo decennio, poi, si sono inseriti gruppi jihadisti tanto che l’Africa subsahariana, un tempo considerata una zona arretrata per il jihadismo, è ora fra le priorità securitarie nell’agenda dell’antiterrorismo mondiale. Non da meno lo è per il governo centrale nigeriano tanto che, per rafforzare la sua sicurezza da questi attori eversivi non-statali, il 25 agosto il presidente Muhammadu Buhari (78 anni, ex generale) ha firmato un accordo con la Russia per la fornitura di attrezzature e per l’addestramento militare, che vanno ad aggiungersi a quelli già in possesso, e ancora di origine sovietica, oltre a materiale dalla Cina, e ad equipaggiamenti militari acquistati da potenze occidentali, come gli Stati Uniti che, però, hanno sospeso la consegna di elicotteri promessi per fine anno, a causa di preoccupazioni su possibili violazioni dei diritti umani da parte del governo di Abuja. Motivo per cui questo accordo russo-nigeriano rinnova l’intesa bilaterale e rafforza la già consistente penetrazione militare e commerciale della Russia di Putin in Africa.

L’attività violenta di numerosi soggetti per il controllo del territorio ha portato a 350mila i morti nell’ultimo ventennio, con una recrudescenza dovuta all’inserimento del jihadismo in quell’instabilità. La Nigeria settentrionale, a maggioranza musulmana è, di fatto e da tempo, uno dei campi di maggior operatività jihadista che, purtuttavia, arriva a scendere verso il sud, cristiano ed animista, sino al delta del fiume Niger, là dove il contrabbando di petrolio foraggia la pirateria. Un gioco facile per via dei ricchi impianti di riserve di greggio e perché quel delta è abitato da più di 40 etnie che parlano un centinaio di lingue e dialetti locali, vittime da decenni di sfruttamento ed inquinamento, da cui un risicato senso di appartenenza e di fedeltà ad un Paese unito con la forza al fine di preservarne gli interessi economici, ma oggetto da decenni di colpi di stato, rivolte e guerre intra-statali per l’indipendenza di alcune di quelle province. 
 Gli affiliati dell’ISIS, in particolare lo Stato Islamico della provincia dell’Africa Occidentale (ISWAP), Boko Haram (BH) – il gruppo più noto per la sua crudeltà e più attivo almeno sino alla presunta morte del suo capo Abubakar Shekau – dopo la sua annunciata, ma mai confermata sconfitta, si contendono da tempo il controllo del territorio, a cui si sono aggiunti i fulani, pastori nigeriani convertitisi in guerriglieri islamisti. Questi ultimi, infatti, in seguito alla carestia e alla guerra del Biafra a fine anni ‘70, si videro occupare la terra da famiglie di agricoltori cristiani che il governo centrale aveva deciso, scelleratamente, di trasferire nel nord musulmano, concedendo loro terreni. 

A quell’epoca, in un clima già pieno di tensioni, quel fatto suscitò nei fulani molta rabbia e la paura di vedersi portare via le proprie terre da quelli che, fra l’altro, considerano miscredenti. Ora, i fulani hanno trovato nell’ideologia e nella violenza jihadista la sponda per riappropriarsi sia dei terreni che delle preziose fonti di acqua. Tutti fratelli nell’ideologia jihadista, quindi, però opposti e nemici negli obiettivi e nella strategia operativa: ISWAP, BH, i fulani e altri gruppuscoli armati, sono tuttavia ben posizionati al fine di espandere la loro influenza, diffondere propaganda, raccogliere nuove reclute e, in alcuni casi, conquistare il territorio. 
 
 La forza dell’ISWAP ha eclissato quella di BH, che continua a perdere sostegno per l’attività di contrasto governativo e per via delle sue violenze contro i civili. L’ISWAP, che formalmente è integrata nella struttura organizzativa dell’ISIS, è così attiva in tutto il bacino del lago Ciad, nel nord-est e sud-est del Niger e, come evidenziato dai suoi forti contatti con il nucleo dell’ISIS in Medio Oriente, la sua propaganda ripropone scene di suoi attacchi contro le forze di sicurezza nigeriane che rispecchiano quelle dell’ISIS contro l’esercito siriano.

Boko Haram, invece, ha stretto legami con banditi altrettanto spietati nel nord-ovest della Nigeria nel tentativo di aggirare l’ISWAP e creare i propri affiliati in quella regione. Non mancano poi le collusioni di tutti costoro con le forze di sicurezza regolari nigeriane, tanto che quel che rimane di BH, i fulani e queste forze locali colluse sono stati definiti il “Triumvirato del male” per la violenza da loro perpetrata al fine di sradicare le minoranze religiose, togliere loro le terre e islamizzare l’intero Paese. Ne è derivata così in Nigeria un guerra globale di tutti contro tutti, a partire dai nemici dell’Islam, in particolare i cristiani (sia cattolici che protestanti, per un totale di 100mila morti in 10 anni)1, tanto da poterla definire “pulizia religiosa”, come ormai appare quel massacro silenzioso di cui si sono avute ancora sporadiche notizie nelle settimane passate. Solo nei primi 200 giorni del 2021 sono stati uccisi 3.462 fedeli cristiani. 
 
  Ma è anche uno scontro intra-jihadista, perché sia BH che ISWAP si stanno contendendo il controllo del territorio della Nigeria settentrionale, fra azioni armate (più mirate quelle dell’ISWAP, decisamente indiscriminate quelle di BH), rapimenti di giovani studenti e studentesse, di ogni fede. Più di un migliaio di questi, dallo scorso dicembre, sono stati rapiti dalle scuole nel nord della Nigeria perché, nel frattempo, il rapimento di giovani è diventato un affare lucroso anche per bande di criminali comuni. La salvezza è pagare il riscatto e sebbene la maggior parte degli alunni alla fine sia stata rilasciata (quelli in mano all’ISWAP), alcuni sono morti, altri ancora risultano scomparsi o sono stati uccisi. Il governo invita le famiglie a non cedere, ma spesso i genitori si indebitano e vendono tutto ciò che hanno per tentare di riscattare i loro ragazzi. L’alternativa, per chi è stato rapito dai jihadisti, è la conversione forzata all’Islam radicale; altrimenti si incorre alla pena la morte, a torture o alla schiavitù sessuale per le ragazze. 

Le violenze jihadiste, a volte, si limitano agli edifici, distruggendo le chiese (almeno 300) oppure giungono ad uccidere sacerdoti (10 le vittime), senza contare la devastazione di villaggi e di fattorie. Ma la furia jihadista non risparmia nemmeno quei musulmani che non vogliono radicalizzarsi e accettare la sharia integralista estrema. Ciò ha finito per alimentare una fuga in massa di intere comunità, da cui lo spopolamento di vaste aree agricole, saccheggiate poi dai nuovi arrivati, e alla ricerca di un riparo nei grandi centri urbani, già di per sé sovrappopolati, con inevitabili ricadute in termini di emergenze sociali, sanitarie e di sicurezza. Da qui, la voglia di una salvezza anche migrando clandestinamente verso l’Europa. In tutto questo si concretizza quel massacro silenzioso, perché solo i bollettini o i media cristiani ne danno notizia, per il resto pressoché nulla.

E se ci sono dei vuoti di influenza esterna, soprattutto di potenze in grado di indirizzare e, forse, raddrizzare certe pericolose derive securitarie, ecco apparire, o meglio, consolidarsi quelle presenze che oramai sono consuetudine nel continente africano, come la Cina e la Russia. Dal garantire la sicurezza al controllo e al dominio di fonti e di hub strategici, il passo è breve, anzi brevissimo, mentre la fuga da quelle violenze di quei disperati verso le coste del Mediterraneo è lunga, costosa, sofferta e sovente perdente.

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1Poco più di 43mila sono da attribuirsi a BH, ISWAP e gruppi qaedisti; circa 19mila ai fulani e poco più di 34mila ad altri gruppi armati.
 
 
4/9/2021
 
La Porta di Vetro

Chi sono

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Analista di politica e sicurezza internazionale, opero attualmente presso enti privati in Israele, Giordania, Stati Uniti e Venezuela. Ho svolto attività di consulenza sul terrorismo per organismi governativi e privati in Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Libia, Tunisia, Niger, Messico e Brasile.

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18 febbraio 2022. Uscita del mio volume "Dalla paura all'odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo", Tangram Edizioni Scientifiche. Trento. " Il volume è il risultato di analisi e operatività sul campo che l’autrice ha condotto negli ultimi due anni circa fenomeni globali legati all’eversione e al terrorismo, sia di matrice islamista jihadista che dell’ultradestra violenta. Vengono analizzati soggetti e dottrine in un contesto di evoluzione delle relazioni internazionali e dei nuovi conflitti ibridi e identitari, in cui il terrorismo è tattica dominante. Sono inoltre delineati i processi, personali e collettivi, di radicalizzazione sia religiosa che politica, da cui derivano educazione e cultura alla violenza. Queste ultime acquisiscono un ampio pubblico attraverso la rete internet, anche nei suoi meandri più oscuri e tramite forme di comunicazione, qui analizzate, che trovano ampio utilizzo da parte delle nuove generazioni di nativi digitali. A ciò si sono aggiunti i toni aggressivi delle più recenti narrazioni cospirazioniste, originate sia da eventi interni a Stati democratici occidentali che da quelli emergenziali da pandemia. A vent’anni dalla paura del terrore proprio dell’11 settembre 2001, si sta procedendo velocemente, quindi, verso un livore generalizzato, a tratti vero e proprio odio, da cui una cultura di violenza politica dai legami transnazionali e che mira all’eversione, con i relativi rischi per la sicurezza nazionale."

  • 24/03/2023 01:42 pm
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