C’è una Nigeria così ricca di petrolio e di numerose altre attività produttive legali da renderla uno dei più interessanti attori globali dell’Africa, al quale perfino la Cina è arrivata a strizzare l’occhio. È una federazione di 3 regioni distinte, abitata da oltre 200 milioni di persone – tra i dieci Paesi più popolosi al mondo e il primo dell’Africa – divise in oltre 250 etnie differenti e appartenenti a diverse religioni; un Paese che produce di più di tutta la regione a cui appartiene e con il maggior numero di super-ricchi dell’intero Continente Nero. Potrebbe essere una terra di ricchezze e benessere, in realtà è una vera e propria terra degli estremi, quelli economici, religiosi, criminosi e violenti.
Non è un caso, infatti, che sia quella Nigeria che da almeno venti anni soffre di grave instabilità, fra contrapposizioni violente di gang cultiste – quelle, per intenderci, che compongono la mafia nigeriana – forme di insorgenza e contro-insorgenza, corruzione a tutti i livelli e lotte fra trafficanti e criminali.
Nell’ultimo decennio, poi, si sono inseriti gruppi jihadisti tanto che l’Africa subsahariana, un tempo considerata una zona arretrata per il jihadismo, è ora fra le priorità securitarie nell’agenda dell’antiterrorismo mondiale. Non da meno lo è per il governo centrale nigeriano tanto che, per rafforzare la sua sicurezza da questi attori eversivi non-statali, il 25 agosto il presidente Muhammadu Buhari (78 anni, ex generale) ha firmato un accordo con la Russia per la fornitura di attrezzature e per l’addestramento militare, che vanno ad aggiungersi a quelli già in possesso, e ancora di origine sovietica, oltre a materiale dalla Cina, e ad equipaggiamenti militari acquistati da potenze occidentali, come gli Stati Uniti che, però, hanno sospeso la consegna di elicotteri promessi per fine anno, a causa di preoccupazioni su possibili violazioni dei diritti umani da parte del governo di Abuja. Motivo per cui questo accordo russo-nigeriano rinnova l’intesa bilaterale e rafforza la già consistente penetrazione militare e commerciale della Russia di Putin in Africa.
A quell’epoca, in un clima già pieno di tensioni, quel fatto suscitò nei fulani molta rabbia e la paura di vedersi portare via le proprie terre da quelli che, fra l’altro, considerano miscredenti. Ora, i fulani hanno trovato nell’ideologia e nella violenza jihadista la sponda per riappropriarsi sia dei terreni che delle preziose fonti di acqua. Tutti fratelli nell’ideologia jihadista, quindi, però opposti e nemici negli obiettivi e nella strategia operativa: ISWAP, BH, i fulani e altri gruppuscoli armati, sono tuttavia ben posizionati al fine di espandere la loro influenza, diffondere propaganda, raccogliere nuove reclute e, in alcuni casi, conquistare il territorio.
Boko Haram, invece, ha stretto legami con banditi altrettanto spietati nel nord-ovest della Nigeria nel tentativo di aggirare l’ISWAP e creare i propri affiliati in quella regione. Non mancano poi le collusioni di tutti costoro con le forze di sicurezza regolari nigeriane, tanto che quel che rimane di BH, i fulani e queste forze locali colluse sono stati definiti il “Triumvirato del male” per la violenza da loro perpetrata al fine di sradicare le minoranze religiose, togliere loro le terre e islamizzare l’intero Paese. Ne è derivata così in Nigeria un guerra globale di tutti contro tutti, a partire dai nemici dell’Islam, in particolare i cristiani (sia cattolici che protestanti, per un totale di 100mila morti in 10 anni)1, tanto da poterla definire “pulizia religiosa”, come ormai appare quel massacro silenzioso di cui si sono avute ancora sporadiche notizie nelle settimane passate. Solo nei primi 200 giorni del 2021 sono stati uccisi 3.462 fedeli cristiani.
Le violenze jihadiste, a volte, si limitano agli edifici, distruggendo le chiese (almeno 300) oppure giungono ad uccidere sacerdoti (10 le vittime), senza contare la devastazione di villaggi e di fattorie. Ma la furia jihadista non risparmia nemmeno quei musulmani che non vogliono radicalizzarsi e accettare la sharia integralista estrema. Ciò ha finito per alimentare una fuga in massa di intere comunità, da cui lo spopolamento di vaste aree agricole, saccheggiate poi dai nuovi arrivati, e alla ricerca di un riparo nei grandi centri urbani, già di per sé sovrappopolati, con inevitabili ricadute in termini di emergenze sociali, sanitarie e di sicurezza. Da qui, la voglia di una salvezza anche migrando clandestinamente verso l’Europa. In tutto questo si concretizza quel massacro silenzioso, perché solo i bollettini o i media cristiani ne danno notizia, per il resto pressoché nulla.
E se ci sono dei vuoti di influenza esterna, soprattutto di potenze in grado di indirizzare e, forse, raddrizzare certe pericolose derive securitarie, ecco apparire, o meglio, consolidarsi quelle presenze che oramai sono consuetudine nel continente africano, come la Cina e la Russia. Dal garantire la sicurezza al controllo e al dominio di fonti e di hub strategici, il passo è breve, anzi brevissimo, mentre la fuga da quelle violenze di quei disperati verso le coste del Mediterraneo è lunga, costosa, sofferta e sovente perdente.
_______