Global Trends & Security Politica internazionale e Sicurezza, di Germana Tappero Merlo
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Siria, fra Iran e Libia, 10/5/2020

Siria, fra Iran e Libia, 10/5/2020 - Global Trends & Security

La guerra in Siria sta entrando nel suo decimo e forse ultimo anno. Non è solo un auspicio per il popolo siriano ma la conclusione a cui stanno giungendo numerosi analisti, visti i recenti accadimenti. Importante ma non decisiva la cattura l’8 maggio  di un esponente, seppur di medio livello, dell’organigramma di quel che rimane dell’Isis in terra siriana, nella provincia di Deir Ezzor. Un’ulteriore vittoria di Assad sulle forze ribelli più radicali, in una regione in cui l’Isis può ancora contare sull’appoggio della popolazione locale, anche se la presenza più minacciosa per il regime è quella dell’Hayat Tahir al-Sham, ossia  al-Qaeda in Siria, sempre nel nord del Paese.

Così pure è stata congelata la battaglia per Idlib da un cessate il fuoco fra Russia e Turchia dovuto all’emergenza sanitaria da coronavirus. Ma che Assad abbia vinto la guerra, quella scoppiata dalla degenerazione della rivolta delle piazze della primavera araba del 2011, è ormai chiaro e conclamato. E che non l’abbia fatto con  le sue sole forze, pure. Gli aiuti russi e iraniani sono stati determinanti al punto che la minaccia di una presenza militare iraniana permanente su quel territorio, a completare quella Mezzaluna sciita  che da Teheran, passando da Bagdad, Aleppo e sino a Damasco appunto, era nei sogni della dirigenza degli ayatollah iraniani, aveva  fornito ad Assad nuovi alleati fuori area ma  anche allertato antichi nemici, come Israele. I bombardamenti  da parte dell’aviazione con la stella di David (da mesi  effettuati a spot, ma 6 in una sola settimana ad inizio maggio, anche se, come sua consuetudine, Tel Aviv non conferma nulla) alle basi militari dei pasdaran e di forze sciite filoiraniane nell’area di Mayadin, al confine con l’Iraq, hanno fatto decidere Teheran di ritirarsi dallo scenario siriano. Ma non solo. L’Iran ha allentato il suo appoggio agli Hezbollah in Libano, un Paese ora alle prese con una crisi economica, fra scelte errate, massiccia e costosa presenza sul suo territorio di profughi siriani e gli effetti finanziari devastanti della  pandemia,  che fanno della nazione dei Cedri uno Stato praticamente fallito (un debito pubblico al 170% del suo Pil)  e con una popolazione, per la prima volta, in aperta e violenta opposizione proprio alle scelte di campo internazionali ed economiche del  Partito di Dio sostenuto dall’Iran. Non da meno, a Gaza Teheran ha chiuso i cordoni della borsa ad Hamas. Un altro vantaggio, benché temporaneo, ad Israele.

Il sogno della Mezzaluna  sciita che aveva nel conflitto siriano il punto di arrivo si sta infrangendo, dunque, sulle macerie di un’economia iraniana fortemente indebolita  a causa delle sanzioni statunitensi e del crollo del prezzo del petrolio sino a valori negativi come effetto del lockdown globale imposto dalla pandemia. Il Covid-19, potente e temuto nemico interno, si sta rivelando il miglior e più affidabile alleato esterno per Israele.  E poi perché le guerre costano, e molto, ed ancor più se sono per una proiezione di potenza, lontano, troppo, dal proprio territorio nazionale. Non è rimasto all’Iran, il cui indebolimento militare nella regione è iniziato, a gennaio, con l’uccisione del gen. Soleimani, che tentare la via della guerra cibernetica, come accaduto  il 24-25 aprile scorso con un attacco al sistema idrico nazionale  israeliano (usando, tra l’altro, server statunitensi), tanto inaspettato da Tel Aviv quanto, fortunatamente, sventato.  

Sono  gli aspetti tattici delle nuove guerre ibride. Non da meno, quelli diplomatici si adattano. Il fatto che Assad abbia rinunciato all’appoggio dell’Iran ma che abbia anche  contrastato con successo – almeno sino al cessate il fuoco – l’avanzata della Turchia nella regione, ha garantito a Damasco la riapertura di relazioni con Paesi della Lega Araba, e non solo l’Egitto, ma anche gli Emirati Arabi Uniti e altri che nel passato avevano sostenuto i ribelli  jihadisti proprio contro il regime. Un colpo di spugna, su anni di guerra e migliaia di morti. Il prezzo che paga il suo popolo, ma un guadagno per Assad da riscuotere nell’immediato futuro. Assad necessita, infatti, di ingenti finanziamenti per la ricostruzione post-bellica e, soprattutto, per consolidare il proprio potere. Se all’interno ciò significa il duro scontro con membri della famiglia (con il cugino Rami Makhlouf, tycoon ricchissimo e potentissimo, deciso con ogni mezzo ad accaparrarsi contratti miliardari che il regime avrebbe invece promesso a committenti arabi del Golfo),  all’estero significa per Assad raggiungere compromessi dalle conseguenze future, al momento imprevedibili ma quantomeno fosche. È il caso del finanziamento da parte degli Emirati Arabi di 3 miliardi di dollari in cambio di una ripresa da parte di Damasco dei combattimenti contro le milizie filo-turche a Idlib, ma anche del reclutamento di miliziani fedeli ad Assad da inviare in Libia, grazie al supporto della russa Wagner, per combattere a fianco di Haftar. Un sollievo finanziario per la Siria e una soluzione che piace alla Russia, con cui Damasco sembra mantenere l’asse di ferro politico-militare fra l’ allentamento di tensioni con numerosi paesi arabi  e con Israele - tutti soggetti con cui Putin ha importanti e nuove intese per il futuro della regione -  e, ora, il  sostegno all’uomo forte della Cirenaica.

Ecco che ancora una volta vi è la conferma del doppio filo che lega i due conflitti, in Siria e in Libia. Non si tratta di cloni, perché ognuno ha portata geo-strategica e impieghi tattici completamente differenti. Tuttavia, i protagonisti sembrano replicarsi e, tolto di mezzo l’Iran (e quindi anche Israele), paiono esserci maggiori forze ed energie addestrate da mettere in campo. Obiettivo: contrastare la Turchia sul suolo libico. Ecco del perché a marzo il governo di Tobruk, legato ad Haftar, ha aperto un’ambasciata a  Damasco con l’obiettivo di collaborare e unire le forze contro il Sultano turco, le cui ambizioni “africane”, fra cui la Somalia, fra l’altro, oltre alla Libia, sono ormai note. Un’ altra  rappresentazione della guerra libica  da tempo già delineata, ma ancora tutta da raffigurare con, sullo sfondo, le macerie di una devastata Siria e l’umiliazione di uno zoppo ex alleato, quell’Iran che, almeno per ora, pare essere in totale sbandamento.

 

in La Porta di Vetro 10/5/2020 

Chi sono

Chi sono - Global Trends & Security

Analista di politica e sicurezza internazionale, opero attualmente presso enti privati in Israele, Giordania, Stati Uniti e Venezuela. Ho svolto attività di consulenza sul terrorismo per organismi governativi e privati in Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Libia, Tunisia, Niger, Messico e Brasile.

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18 febbraio 2022. Uscita del mio volume "Dalla paura all'odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo", Tangram Edizioni Scientifiche. Trento. " Il volume è il risultato di analisi e operatività sul campo che l’autrice ha condotto negli ultimi due anni circa fenomeni globali legati all’eversione e al terrorismo, sia di matrice islamista jihadista che dell’ultradestra violenta. Vengono analizzati soggetti e dottrine in un contesto di evoluzione delle relazioni internazionali e dei nuovi conflitti ibridi e identitari, in cui il terrorismo è tattica dominante. Sono inoltre delineati i processi, personali e collettivi, di radicalizzazione sia religiosa che politica, da cui derivano educazione e cultura alla violenza. Queste ultime acquisiscono un ampio pubblico attraverso la rete internet, anche nei suoi meandri più oscuri e tramite forme di comunicazione, qui analizzate, che trovano ampio utilizzo da parte delle nuove generazioni di nativi digitali. A ciò si sono aggiunti i toni aggressivi delle più recenti narrazioni cospirazioniste, originate sia da eventi interni a Stati democratici occidentali che da quelli emergenziali da pandemia. A vent’anni dalla paura del terrore proprio dell’11 settembre 2001, si sta procedendo velocemente, quindi, verso un livore generalizzato, a tratti vero e proprio odio, da cui una cultura di violenza politica dai legami transnazionali e che mira all’eversione, con i relativi rischi per la sicurezza nazionale."

  • 24/03/2023 01:18 pm
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