Global Trends & Security Politica internazionale e Sicurezza, di Germana Tappero Merlo
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Sudan, milizie e privatizzazione della guerra, 23/4/2023

Sudan, milizie e privatizzazione della guerra, 23/4/2023 - Global Trends & Security

La tendenza nei più attuali conflitti a ingaggiare una forza militare privata, offerta e venduta alla stregua di una merce per soddisfare la  pretesa circa una domanda per un proprio esercito, con uomini dotati di mezzi anche più offensivi delle sole armi leggere,  è frutto di una cultura della guerra che si è evoluta  negli ultimi tre decenni,  dalle aziende di contractors a fianco delle forze armate statunitensi  negli anni di occupazione militare dell’ Iraq e dell’ Afghanistan sino ad arrivare, appunto, ad oggi e all’ampio e spregiudicato ricorso a veri e propri professionisti della guerra, i mercenari. Allora, fra counter-terrorism e guerre preventive, i contractors furono la risposta pragmatica immediata e spendibile politicamente per servizi generici necessari alle truppe US per il loro impegno rispetto ad un’opinione pubblica con l’ossessione securitaria del dopo l’11 settembre. Di fatto, questa cultura è  diventata molto altro, ed ora  è più diffusa di quanto  si vada raccontando con i  mercenari della russa Wagner, dove il dibattito  ha assunto i toni dicotomici e di partigianeria propri di quest’ultimo anno del conflitto in Ucraina. Certamente i servizi bellici della Wagner sono noti e drammaticamente provati in Ucraina come in parecchi stati africani[1], fra cui  il Sudan, in questi giorni oggetto di un tentato golpe e probabilmente indirizzato verso una guerra civile, dove l’ interesse di Mosca a porre mano  sui ricchi giacimenti di oro è ormai un dato più che accertato[2], da cui si ipotizzano i servizi della Wagner e un buon accordo economico con il gen. Mohamed Hamdan Dagalo “Hemeti”  e le sue Rapid  Support Forces (RSF) che hanno dato il via al tentato regime change a Khartoum. Uno scenario fra protagonisti e interessi che, tuttavia, è decisamente molto più complesso di quello presentato dai media nostrani, fra ambizioni di potere personale, desiderio di controllo e di razzia delle ricchezze del proprio territorio nazionale  sino alle diatribe per le acque[3], con buona dose di influenze e interessi predatori esterni, fra cui si paventa, appunto, la Russia e addirittura il libico Haftar, sempre tramite la Wagner, che  però negano, mentre sono certi il Ciad, gli Emirati del Golfo e l’Arabia Saudita, quest’ ultima potente  finanziatrice di combattenti sudanesi, anche regolari, per la sua guerra in Yemen contro gli Houthi filoirianiani; ebbene  ora, di ritorno nel proprio Paese, costoro sarebbero fra le fila dei miliziani di “Hemeti”  [4]. Uno scenario  non privo di contraddizioni e parecchia reciproca controinformazione, tra cui il manto di contrastare l’Islam radicale  per legittimare se stessi e delegittimare il pericoloso avversario che si vuole  destituire o eliminare[5]. 

Proprio le recenti vicende del Sudan hanno rilanciato, quindi, e per l’ennesima volta dopo la Libia e  il Mali,  il “rischio Wagner” per l’Africa e per il mondo libero e democratico; così come hanno recuperato e portato a conoscenza della comunità internazionale la tragica realtà di questi combattenti sudanesi che un tempo formavano le milizie dei janjaweed e confluiti ora nelle fila delle “ribelli” RSF. Una fama da criminali contro l’umanità  li accompagna da anni, almeno dai tempi della guerra in Darfur[6], in quanto i  janjaweed, i “demoni a cavallo” (dall’  arabo jinn, demone, e alawid, cavallo), già allora di varia nazionalità, anche ciadiana e libica, sono ora un ibrido fra milizia etnica armata - in un mix di arabi ed arabofoni sudanesi - e capacità di fare impresa. Combatterebbero, quindi, solo ed esclusivamente per interessi e profitto economici, anche a costo di macchiarsi di crimini contro l’umanità se è vero che il loro obiettivo ideologico e strategico è quello di far sparire dal territorio sudanese le etnie “africane”, per lo più agricoltori, a favore di quelle loro, “arabe e arabofone”, più dedite agli allevamenti di bestiame e ai ricchi commerci intra-frontalieri; i loro vertici, nel caso il gen. Dagalo “Hameti”, punterebbero, manco a dirlo, al controllo delle ricchezze del sottosuolo sudanese, che sono tante, tantissime, fra petrolio, oro, argento, diamanti, coltan, tungsteno, uranio, rame e altri minerali preziosi; e poi le terre arabili e le preziosissime acque[7].

Le vicende sudanesi, fra ipotetici ingaggi della Wagner e quelli sicuri dei janjaweed, portano però in evidenza un’altra tendenza più globale e pericolosa rispetto alla consueta depredazione locale.

C’è un filo rosso, infatti, che da trent’anni attraversa la quotidianità di parecchie nazioni dal Vicino Oriente all’Africa, ed è la mentalità guerresca delle milizie armate che è andata ampliandosi al punto da diventare protagonista di grande destabilizzazione ma, e al contempo seppur paradossalmente, soluzione di sicurezza e d’ordine. Questa mentalità discorde che, sino a tutto il periodo della guerra fredda, era confinata alle aree a noi remote e instabili come, ad esempio, quelle dei c.d. signori della guerra di afghana memoria e, seppur con altre connotazioni, degli eserciti privati delle famiglie libanesi della guerra civile degli anni ‘70-’80, sta andando ora decisamente oltre i fini ideologici e securitari, identitari, tribali e clanici di cui è colma la storia anche recente di quelle regioni. Si è ora ampliata, trasformata ed è diventata non solo normalità, ma talmente consuetudine da istituzionalizzarsi; e se un governo legittimo, di uno dei tanti Paesi di quelle vaste regioni citate più sopra, necessita di forza armata, deterrente e pronta all’uso, non esita ora a ricorrere a servizi privati esterni in cambio, sovente, di ricchi bottini, per lo più concessioni minerarie ed estrattive fra oro, diamanti, cromo, uranio, bauxite e petrolio. 

Non si tratta, quindi,  solo più delle milizie sponsorizzate a fini ideologici e di potenza, dai mujaheddin antisovietici in Afghanistan ai tagliagole dell’Isis in Iraq e Siria,  lautamente sostenuti i primi da Arabia Saudita e Stati Uniti  e i secondi da innumerevoli fonti, anche occidentali così come da potenze  e ricchi privati locali, per combattere  proxy war  regionali, sino ad arrivare alle milizie e alle forze paramilitari decisamente opposte, come le sciite irachene, o gli hezbollah libanesi, entrambi proiezione di potenza  e finanziati dall’Iran. Non si tratta nemmeno della più nota pratica di agenzie private di sicurezza, a cui si rivolgono aziende e singoli imprenditori per operare in regioni ad alto rischio e, quindi, a protezione delle proprie maestranze e delle aree degli impianti. La nuova mentalità guerresca con e delle milizie armate è decisamente molto altro, dove la partigianeria ideologica è il riferimento più blando, se non addirittura inesistente. 

Si tratta, invece, ora di soddisfare una domanda globale di forza militare, professionale e pronta ad intervenire, che trova un’ampia gamma di offerta privata attraverso vere e proprie corporations multinazionali, pesantemente armate; è, al contempo, un puro business che va incontro alle smanie di potere e alle ansie securitarie di vasti spazi geografici instabili e di Stati falliti, o in procinto di esserlo. È segnale però di un cambio di mentalità nei confronti della guerra e della forza militare, vendute come un prodotto qualsiasi e approcciate e trattate da strutture che sono organizzate come vere e proprie imprese multinazionali. Come tali, quindi, operano per il solo profitto economico, dato che le guerre si combattono anche per cospicui ed opulenti giri di affari privati. E’, quindi, la mercificazione del conflitto armato, ben oltre l’ormai noto assioma in cui “Clausewitz incontra Adam Smith”, secondo il quale le guerre convenzionali vengono combattute fra eserciti nazionali anche per gli interessi della grande industria bellica. Ora, in pratica, a dominare è una tendenza decisamente più pericolosa, che è quella della privatizzazione della guerra a fini di lucro immediato e, soprattutto, personale, che sia del combattente sul campo e del suo datore di lavoro, ossia le corporations della sicurezza. Accade così che nei più recenti e numerosi conflitti mediorientali ed africani, lo Stato, magari anche quello legittimamente eletto, non è più il depositario esclusivo della forza militare ma tenda a delegarla all’imprenditoria privata della sicurezza, genericamente i “mercenari”, e non solo più per supportarsi securitariamente all’interno del proprio territorio (Nigeria contro Boko Haram, ad esempio)[8], ma anche per combattere guerre altrove. È successo per la Russia con la Wagner in Siria, Iraq, Libia e Ucraina, certamente; ma anche l’Arabia Saudita e gli Emirati nella lunga guerra in Yemen[9] hanno assoldato mercenari di ogni dove (soprattutto America Latina) per combattere contro gli Houthi, spalleggiati invece ampiamente dall’Iran. Non è un caso che l’area attorno ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, sia un proliferare di società private di combattenti a pagamento o mercenari che dir si voglia. E non sono solo la Wagner russa che, da tempo, assolda combattenti in Africa per poi inviarli in Siria (i Black Russians)[10], ma anche società statunitensi, inglesi, tedesche, sudafricane ed addirittura ucraine[11].

E dato che a fianco di un sempre più crescente numero di spazi non-governati e destabilizzati, vi sono conflitti a media e bassa intensità, è doveroso evidenziare questa tendenza a “privatizzarli” e ad avvantaggiarsi così dal loro proliferare per il ricco ingaggio e i lucrosi bottini di guerra finali. Da qui, infatti, l’allerta che riguarda questa parte di mondo, perché la mentalità dei benefici economici e finanziari derivanti dal ricorso a veri e propri imprenditori della guerra non riguarda solo più quella vaga e, già di per sé, amplissima regione che va dal Medio Oriente all’Africa tutta, ma, e con logica puramente mercantilistica, anche il mondo occidentale. E se il pensiero va immediatamente alla Wagner russa, sia chiaro che quel turpe e deviato comportamento, contro ogni norma propria di una comunità internazionale di ordine liberale composta da Stati di diritto, non è prerogativa esclusiva dell’arcinemico del momento, ossia Putin, i suoi accoliti e la loro ingordigia di risorse strategiche. Perché il vizio di utilizzare forze combattenti mercenarie non è nuovo, non è nemmeno un’invenzione recente della Wagner russa. Già nel contesto di guerra irachena post-2003 e la caduta di Saddam Hussein, gli Stati Uniti utilizzarono ampiamente oltre ai Blackwaters, progenitori di tutti i contractors privati statunitensi e responsabili di nefandezze e violenze contro civili inermi, anche mercenari africani per i combattimenti[12]. D’altronde, l’Iraq era diventato un ambiente così ostile e impegnativo da non essere più facilmente sostenibile militarmente, ma anche e soprattutto politicamente. Finanziariamente sì, a quanto pare, tanto che in Iraq, nel 2008, contro le poco più delle 150mila unità statunitensi, vi erano oltre 70mila “cittadini di paesi terzi”, soprattutto ugandesi e in generale sub-sahariani, come forze paramilitari ed esercito invisibile reclutato da società militari private per conto del Pentagono statunitense per sostenere lo sforzo bellico. L’impegno degli “africani” per gli Usa divenne così importante e sbilanciato finanziariamente nei confronti di mercenari di altra provenienza (francesi, serbi, inglesi, sudafricani e israeliani) da indurre il governo statunitense a istituire una commissione di controllo circa i costi e le difformità nei pagamenti [13]. Perché i mercenari, come le T-shirt, sono più economici se provengono da quei Paesi un tempo definiti “in via di sviluppo”, ossia africani, centroasiatici e latinoamericani, e che ora sono altamente instabili, addirittura falliti, appunto, ma soprattutto molto più popolati di disperazione di un tempo. 

Il rischio però, ora, data la barbara e sfrenata caccia armata al controllo e depredazione delle grandi ricchezze, è che ci si indirizzi sempre più verso la mercificazione del conflitto armato. E il passo, che divide la privatizzazione della guerra dalla guerra privata, è breve. Dobbiamo quindi aspettarci girandole di guerre senza Stati, ma combattute fra e per attori anche non-statali, appunto, se non addirittura privati così potenti finanziariamente da dotarsi di una propria forza armata combattente. D’altronde, l’Isis è stato progenitore di questa tendenza circa milizie di un proto-Stato, in questo caso islamico, lautamente sponsorizzate dall’esterno, a cui sono seguiti gli ingaggi come forze mercenarie, “a pagamento”  nell’instabile Libia e in Mali. Insomma, si sta sempre più definendo una mentalità a trarre vantaggi da un libero mercato della forza; una cultura di milizie armate non più spronate da patriottismo, ideologie estreme od anche solo pulsioni securitarie ma esclusivamente dal mero profitto economico e quindi a disposizione di chi paga di più e meglio, dove il principale vincolo non sono i codici della guerra, ma le leggi dell’economia. Perché là, dove si incontrano domanda e offerta di un prodotto, c’è mercato, e quello della sicurezza, al momento, non ha vincoli di alcuna natura. 

Date queste premesse e con l’imbarbarimento, oggi, di un sistema internazionale globale non più incline ma incapace a mediare, perché votato alla violenza come soluzione di ogni contenzioso fra Stati, e fra questi e i sempre più numerosi soggetti anche non-statali, armati e potenti finanziariamente, non dovremo  però stupirci un giorno, nemmeno così lontano,  di ritrovarci deviati verso un libero mercato globale della forza, verso il proliferare di futuri mercati  di conflitti, anche privati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] La Wagner è stata presente in Libia ed è attiva ora in Madagascar, Mozambico, Repubblica Centro Africana, Burkina Faso, Mali, Sud Sudan e Sudan.

[2] https://www.occrp.org/en/investigations/documents-reveal-wagners-golden-ties-to-sudanese-military-companies

[3] La questione della diga etiope GERD e quanto costerebbe in termini di sottrazione delle acque del Nilo a Sudan ed Egitto è uno degli elementi di grave instabilità regionale e brevemente illustrati in questo articolo https://www.laportadivetro.com/post/il-nilo-conteso-tra-egitto-e-etiopia

[4] https://www.agenzianova.com/en/news/sudan-who-are-the-parties-to-the-conflict/

[5] Su questa complessa questione si veda l’articolo di R. La Fortezza, Sudan. I generali agitano lo spettro dell’Isis per delegittimarsi, in https://www.agenzianova.com/news/sudan-lesperta-a-nova-i-generali-agitano-lo-spettro-dellislam-radicale-per-delegittimarsi/

[6] https://www.accord.org.za/conflict-trends/ideology-cultural-violence-darfur/

[7] https://www.africarivista.it/la-guerra-dellacqua/188507/

[8] https://issafrica.org/iss-today/soldiers-for-rent-in-the-boko-haram-crisis; https://www.newsweek.com/hundreds-foreign-mercenaries-fighting-boko-haram-313312

[9] https://greydynamics.com/fortune-favors-the-desert-sons-uae-mercenaries-in-yemen-and-libya/

[10] https://www.wsj.com/articles/russias-wagner-deepens-influence-in-africa-helping-putin-project-power-9438cfce

[11] https://ndupress.ndu.edu/Media/News/Article/2031922/mercenaries-and-war-understanding-private-armies-today/

[12] A. Vicky, Mercenaires africains pour guerres américaines, Le Monde Diplomatique, Mai 2012.

[13] Commission on wartime contracting, in https: //cybercemetery.unt.edu/archive/cwc/20110929213815/ http://www.wartimecontracting.gov/

 

La Porta di Vetro, Editoriale

Chi sono

Chi sono - Global Trends & Security

Analista di politica e sicurezza internazionale, opero attualmente presso enti privati in Israele, Giordania, Stati Uniti e Venezuela. Ho svolto attività di consulenza sul terrorismo per organismi governativi e privati in Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Libia, Tunisia, Niger, Messico e Brasile.

Chi sono - Global Trends & Security

18 febbraio 2022. Uscita del mio volume "Dalla paura all'odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo", Tangram Edizioni Scientifiche. Trento. " Il volume è il risultato di analisi e operatività sul campo che l’autrice ha condotto negli ultimi due anni circa fenomeni globali legati all’eversione e al terrorismo, sia di matrice islamista jihadista che dell’ultradestra violenta. Vengono analizzati soggetti e dottrine in un contesto di evoluzione delle relazioni internazionali e dei nuovi conflitti ibridi e identitari, in cui il terrorismo è tattica dominante. Sono inoltre delineati i processi, personali e collettivi, di radicalizzazione sia religiosa che politica, da cui derivano educazione e cultura alla violenza. Queste ultime acquisiscono un ampio pubblico attraverso la rete internet, anche nei suoi meandri più oscuri e tramite forme di comunicazione, qui analizzate, che trovano ampio utilizzo da parte delle nuove generazioni di nativi digitali. A ciò si sono aggiunti i toni aggressivi delle più recenti narrazioni cospirazioniste, originate sia da eventi interni a Stati democratici occidentali che da quelli emergenziali da pandemia. A vent’anni dalla paura del terrore proprio dell’11 settembre 2001, si sta procedendo velocemente, quindi, verso un livore generalizzato, a tratti vero e proprio odio, da cui una cultura di violenza politica dai legami transnazionali e che mira all’eversione, con i relativi rischi per la sicurezza nazionale."

  • 05/10/2023 01:45 am
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