Dopo l’11 settembre 2001 e il forte impulso dato dalla globalizzazione ai sistemi di raccolta e diffusione delle informazioni, il concetto di intelligence ha assunto una valenza del tutto diversa rispetto a quella nata con la guerra fredda e, in parte, evoluta con gli scenari conflittuali degli anni ’90.
Sino a prima della globalizzazione, il potere era centralizzato e, quindi, necessitava di intelligence centralizzata. Il mondo era organizzato in blocchi e necessitava di informazioni divise in compartimenti stagni. I sistemi economici e sociali erano perlopiù gerarchici e, quindi, l’informazione gerarchica aveva un senso. Tutto ciò è cambiato con gli stravolgimenti politici del dopo guerra fredda, la comparsa di nuovi soggetti e la globalizzazione economica, ma soprattutto con l’ aumento vertiginoso della conflittualità che ha fatto dello scontro perenne l’obiettivo finale e la condizione naturale dei rapporti fra soggetti, sia politici che economici.
La globalizzazione ha finito, infatti, per alimentare forme nuove di conflittualità nei rapporti tra attori internazionali – gli Stati o, per alcuni, civiltà differenti - fra i quali spiccano, tra gli altri, i grandi interessi economici e finanziari. Questi ultimi, infatti, considerati protagonisti post-moderni della scena internazionale, debbono convivere in essa con realtà moderne (territoriali, industrializzate e nazionaliste) e persino pre-moderne (agricole, religioso-fondamentaliste) che, tuttavia, concepiscono diversamente i rapporti di forza internazionali. I mutamenti imposti dall’aumento dei rischi per la sicurezza nazionale e dall’ampliamento degli scenari economici e finanziari hanno così stravolto i tradizionali metodi di acquisizione e di interpretazione delle informazioni: sono diventate, infatti, fra le risorse più complesse da gestire, non solo nel tradizionale campo politico ma, ed in particolare, in quello economico.
La globalizzazione prima e gli stravolgimenti nella sicurezza del dopo 11 settembre, hanno dato un impulso notevole alla scomparsa della distinzione fra interno-esterno, pubblico-privato, civile-militare e hanno conferito ad attori non-statali, e le imprese prime fra tutte, un’autonomia strategica. Parimenti, hanno obbligato gli Stati a dotarsi di nuove forme di collaborazione, in cui la geoeconomia ha finito per sostituirsi alla geopolitica, e dove il tradizionale scontro Nord-Sud è risultato troppo riduttivo: è apparsa, infatti, una conflittualità a macchie, non più caratterizzata da punti cardinali ma da aree geografiche, ognuna con il suo grado di importanza ed influenza, aumentando così il ruolo delle geoeconomia nella definizione del nuovo contesto internazionale.
La conseguenza più immediata di queste tendenze globali, sia per gli Stati che per le grandi imprese, è stata una profonda crisi della prevedibilità degli eventi: nulla nel campo delle scienze politiche, economiche e sociali è risultato più scontato o riconducibile ad uno schema di analisi. L’ imprevedibilità degli eventi dell’11 settembre è pari a quella del crollo del sistema finanziario e borsistico del 2007-2008, con lo stravolgimento di un impianto economico e industriale che non aveva dato segnali allarmanti o meglio, proprio come quegli attacchi terroristici, vi erano stati ed erano stati sottovalutati. Dopo quei fatti e più che in passato, le entità statali, così come quelle economiche e finanziarie non possono più credere di fondare la loro azione su posizioni strategiche acquisiste, su equilibri stabili e permanenti.
L’elemento che accomuna Stati e imprese, gli avvenimenti dell’11 settembre e le crisi di Borsa, è essenzialmente la cattiva gestione di una mole eccessiva di informazioni, con la conseguenza che, nell’era della grande innovazione tecnologica e la voluminosa diffusione di notizie e di informazioni, gli Stati e i soggetti economici e finanziari si sono dimostrati – anche se per alcuni, per puro opportunismo - completamente ignoranti della realtà che li circondava.
L’informazione, da sempre strumento indispensabile dell’ intelligence per agire, è divenuta, infatti, un prodotto stesso del processo di produzione e, come tale, risulta l’obiettivo – oltreché l’arma – verso cui le imprese, intese come principali attori delle relazioni internazionali accanto a quello che resta delle entità statali, indirizzano le loro strategie operative. Inoltre, proprio i fattori della globalizzazione che hanno mutato i mercati hanno altresì reso indefinibili e mutevoli i confini tra sicurezza interna ed esterna, militare ed economica, civile e sociale, di cui l’affare wikileaks ne è l’esempio più recente e conosciuto e che, per alcuni, ben si adatta al concetto di intelligence globale.
I nuovi sistemi di raccolta, diffusione e condivisione delle informazioni, grazie soprattutto alla diffusione delle nuove tecnologie Ict, hanno, infatti, permesso che l’ intelligence diventasse merce sempre più abbondante ma non sempre qualitativamente in grado di soddisfare la necessità di maggior sicurezza e le sofisticate richieste provenienti dai mercati: al pari di una merce, per cui la domanda e l’offerta debbono assolutamente trovare un punto di equilibrio sul mercato, così l’ intelligence necessita ora, più che mai, di un equilibrio fra quantità di offerta iniziale e qualità del prodotto finale. Per questo motivo, da oltre un decennio, e per venire incontro alle esigenze delle imprese, sono nate la competitive intelligence e la business intelligence, che hanno mutuato il linguaggio, gli strumenti e i parametri interpretativi caratteristici dal sistema di intelligence proprio della sicurezza nazionale e degli scenari di guerra e terrorismo.
Il panorama economico e finanziario si rivela, infatti, continuamente mutevole, non pacifico, anche se non necessariamente conflittuale ( si parla di “non guerra, non pace”), in cui solo una sistematica azione di raccolta e di aggiornamento delle informazioni può garantire la sopravvivenza di un’impresa. Il suo management non può più fondare la propria strategia operativa sull’istinto o sull’intuizione. Ciò potrebbe costare l’uscita dal mercato della stessa impresa.
I grandi gruppi si trovano ora, più che in passato, a condividere una condizione di concorrenza perenne, con la definizione di strategie continuamente mutevoli con il variare di scenari, in cui un ruolo determinante è giocato – come per le entità statali – dai sistemi di informazione che sono in grado di disporre.
Il controllo delle risorse informative sta così dando vita, più che in passato, a veri e propri conflitti: come è accaduto per le materie prime e le ricchezze naturali, ciò avviene ora per l’informazione, con le grandi imprese protagoniste, coinvolte in prima linea in quella che è nota come infowar.
Le imprese si confrontano, infatti, con tecniche di combattimento, in cui la conquista, il controllo e la diffusione dell’ informazione, ed in particolare della controinformazione, diventano contemporaneamente – e a differenza di uno scenario bellico - l’ obiettivo finale e un’ arma offensiva per eccellenza. Una nuova minaccia, quindi, a cui occorre rispondere con adeguata preparazione e attraverso metodi offensivi e che accomuna sia le imprese che gli Stati nazionali, in cui la controinformazione, così come la manipolazione mediatica della stessa, giocano un ruolo fondamentale.
Ecco perché l’attenzione delle agenzie di informazione e di quelle incaricate della sicurezza si indirizza anche, e con maggior vigore ora rispetto ad un tempo, verso l’azione delle grandi imprese, intese come soggetti in grado di destabilizzare e ricomporre, secondo i loro interessi per lo più privati, vasti settori ma soprattutto vaste aeree o regioni, economiche e finanziarie. Le informazioni di cui dispongono diventano strategiche per la loro azione: “conoscere per prevedere, prevedere per agire” non vale solo più per la sicurezza nazionale, ma è altresì è alla base del ruolo dell’intelligence economica, determinante per ipotizzare qualsiasi azione futura.
Se è vero, quindi, che l’informazione è sempre stata una fonte di potere, al giorno d’oggi, con la gran massa di notizie a disposizione, non può che diventare fonte di gran confusione. Ciò può avere i suoi risvolti pericolosi e drammatici, come hanno dimostrato l’11 settembre o i crolli di Borsa, o in apparenza banali ma decisamente fuorvianti, come ha dimostrato l’affare wikileaks. La colpa di tutto ciò non risiede tanto nel fatto che, negli ultimi due decenni, siano stati favoriti i sistemi ad alta tecnologia rispetto a quelli più tradizionali nella raccolta delle informazioni, quanto – e si tratta di un livello più delicato e sofisticato – non vi siano parametri adeguati per l’interpretazione della grande quantità di informazioni a disposizione. In pratica, sono stati raffinati i sistemi di raccolta, a vantaggio di una maggior quantità di materiale informativo a disposizione, a tutto svantaggio, però, della qualità dello stesso.
Tutto ciò ha favorito un innalzamento della conflittualità fra gli attori internazionali, come ha dimostrato l’affare wikileaks, e che possiamo definire, prendendo a prestito la terminologia militare, una knowledge warfare. La posta in gioco è elevata: si tratta del dominio dell’informazione politica, economica, finanziaria ed industriale che vede aumentare il suo valore in momenti come quello attuale, caratterizzato da recessioni economiche e da crisi finanziarie, nonché da instabilità politica diffusa.
Sta ai singoli attori gestire l’acquisizione e l’interpretazione delle informazioni, che nel frattempo sono diventate conoscenza diffusa, attraverso parametri di eticità comportamentale che limitino i rischi di una degenerazione dello scontro, tipico dell’ infowar.
Quanto ciò si possa rivelare, in futuro, una mera speranza andata delusa o piuttosto una realtà sempre più diffusa dipenderà da quanto il sistema politico e quello economico, finanziario ed industriale sapranno utilizzare positivamente la rivoluzione dell’ intelligence, avviata con internet e la globalizzazione. Tuttavia, nella storia politica e in quella economica mondiale, le grandi rivoluzioni sono sempre state testimoni di passaggi cruenti e dolorosi: in quest’era di condivisione delle informazioni globali e di lotte per il loro controllo, di cui wikileaks è stata l’espressione più volgare, non vi è nulla che faccia presagire che nell’evoluzione dell’ intelligence, sia politica che economica, succeda il contrario.
19/1/2011
19/1/2011