“Senza Nilo non c’ è Egitto”. Da secoli, infatti l’Egitto fa ciò che vuole di quel fiume, che gli ha permesso di costruire antichi imperi e moderne repubbliche. Qualcosa, però, sta ora cambiando e l’allerta è così grande che volano accuse e minacce di guerra con L’Etiopia. Quest’ultima, infatti, sta concludendo la costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), la più grande diga africana per l’energia idroelettrica (un progetto da 4,5 miliardi di dollari) sulle acque del suo Nilo Azzurro, con inevitabili ripercussioni a valle, lungo tutto il tratto sudanese ed egiziano. A luglio prossimo, l’Etiopia procederà al riempimento del bacino delle dimensioni, all’incirca, dell’area urbana di Londra. L’Egitto trema e la diga è diventata il centro delle sue ansie idriche. Lungo il Nilo vive infatti il 95% della sua popolazione, fra villaggi, città e zone portuali all’estuario, che cresce di 1 milione di persone ogni 6 mesi, con una concentrazione urbana al Cairo di difficile controllo e gestione, tanto che al-Sisi ha già annunciato la creazione di una città amministrativa (della portata di 18 milioni di abitanti) proprio in una zona totalmente desertica, ma lungo il Nilo, ovviamente, per alleggerire la vecchia capitale. Una presenza importante (si stima avrà 40 milioni di persone nel 2050) con inevitabile sfruttamento intensivo delle acque del Nilo.
Già ora, però, tutta la ricchezza dell’Egitto è concentrata lungo quel fiume e, per il traffico marittimo, nel Canale di Suez: due punti fermi, strategici economicamente che, se a rischio, Il Cairo non esita a difendere con le armi. Lo hanno dimostrato i documenti che riportano la volontà già dell’ex presidente egiziano Morsi di agire con azioni di sabotaggio o addirittura con bombardamenti aerei per impedire la costruzione della diga etiope. Avviata proprio nel 2011, a Primavere arabe appena iniziate, il Cairo era distratto da altre priorità per intraprendere trattive con l’Etiopia e contenere i disagi futuri del nuovo progetto, per cui la sua risposta poteva e doveva essere immediata ed armata. Fermato Morsi per tutt’altri motivi, le sue bellicose intenzioni contro l’Etiopia sfumarono.
La GERD è invece sinonimo di grande ricchezza per l’Etiopia. È la possibilità di vendere energia elettrica ai vicini; è simbolo della sua rapida ascesa come fra le più rilevanti delle potenze economiche africane; ha una valenza politica immensa perché la realizzazione della GERD alimenta altresì il patriottismo e combatte radicate paure, come la povertà. Sostiene anche la fiducia di quel popolo per una nuova e giovane classe dirigente nella persona del suo premier Abiy Ahmed Ali, già premio Nobel per la pace nel 2019 per l’accordo (seppur al momento ancora traballante) sui confini con l’Eritrea dopo anni di guerra. Anche se di pace, nelle sue ultime dichiarazioni sulla GERD e l’Egitto, non vi è affatto traccia. Sebbene al-Sisi abbia dichiarato di voler ricercare una soluzione pacifica, il premier Abiy lo accusa di invio di armi (documentati da report di agenzie dell’Onu) al governo del Sud Sudan – con cui condivide le preoccupazioni circa una riduzione delle acque del Nilo - al fine di fomentare proteste antigovernative e ribellioni armate nel territorio etiope. Il Cairo nega ogni accusa, ma è solo l’inizio di un altro confronto di quel Great Game che si sta giocando proprio nel Corno d’Africa, e già da tempo. Un gioco da cui non sono esenti Cina, Emirati Arabi e Stati Uniti, dove l’Etiopia, con i suoi 100milioni di abitanti e in forte crescita economica, ha un ruolo strategico fondamentale.
Un gioco che dovrà tenere conto del progressivo aumento demografico del continente africano, dello sfruttamento, spreco e abuso delle sue enormi ricchezze (le acque del Nilo, in terra egiziana, sono inquinate da flussi fognari e l’ immondizia naviga nei canali di irrigazione), così come dei cambiamenti climatici che, con l’aumento delle temperature, contribuiscono ad accrescere il livello del mare tanto da erodere spiagge e spingere le acque salate all’interno, compromettendone quelle dolci e inaridendo di conseguenza, porzioni di terre fertili. Tutto ciò fa presagire, in quella parte di Africa, carenze idriche importanti dal 2025.
Ecco che il rischio di stress idrico in aree strategiche trasforma le acque in un’arma di ricatto e la minaccia di una guerra per il loro controllo una evenienza non così remota. E non sarebbe la prima volta, perché per l’accesso alle acque si sono combattute e si combattono tuttora le guerre. Negarlo è ignorare la storia. Prenderne coscienza è solo precorrere i tempi.
in "La Porta di Vetro", 3/3/2020