Global Trends & Security Politica internazionale e Sicurezza, di Germana Tappero Merlo
  • Home
  • Geopolitica & Sicurezza
  • Middle East & North Africa
  • AFRICA
  • ASIA
  • TERRORISMO & JIHAD
  • Estremismo violento
  • Intelligence & Cyber
Home » Middle East & North Africa » Yemen e guerra. La maledizione della geografia, 17/9/2021
stampa pagina
  • <<
  • >>
 

Yemen e guerra. La maledizione della geografia, 17/9/2021

Yemen e guerra. La maledizione della geografia, 17/9/2021 - Global Trends & Security

Una delle peggiori trappole in diplomazia è fare dichiarazioni senza dare un seguito con azioni utili e concrete. Se poi in ballo ci sono guerre, soprattutto se complesse come quelle attuali, dove ad avere un ruolo tattico importante sono attori non statali, queste azioni utili sono le uniche a consentire un’exit strategy percorribile per rimanere credibili. Altrimenti si peggiora situazioni già gravi, ma soprattutto si perde credito e potere. Ne è una prova quanto accaduto agli Usa e alleati in Afghanistan e di come la decisione americana di ritirarsi dal conflitto, senza aver posto solide basi per formare un governo di pacificazione e di unità nazionale, abbia galvanizzato le forze locali nemiche, nel caso i talebani e altre forze islamiste radicali del Centro Asia. Lo stesso sta accadendo in Yemen, nella remota regione a sud della penisola arabica. 

L’acuirsi negli ultimi mesi della guerra yemenita lunga ormai anni, dagli aspetti di vera catastrofe umanitaria (28 milioni di persone sotto il livello di sussistenza, 3 milioni di sfollati e il 55% di tasso di mortalità infantile, solo nell’ultimo anno), è stato favorito anche dalla dichiarazione dell’amministrazione Biden, nel febbraio scorso, di togliere il sostegno militare alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita che nel 2015 era entrata in quella che era dapprima una guerra civile, a sua volta ingloriosa conseguenza della fallita primavera araba di Sana’a e che, proprio per decisione dei Saud di sostenere il governo yemenita, riconosciuto a livello internazionale e contrapposto ai ribelli sciiti Houthi, sostenuti in seguito dall’Iran, è diventata ben presto guerra regionale. Gli obiettivi degli Houthi sono noti: essere autonomi nella regione da loro controllata, a nord del Paese, quella anche più popolata (70% degli yemeniti) che ingloba l’unica provincia ricca di greggio e gas, quella di Marib, e in cui imporre uno stato teocratico sciita sul modello e con la protezione iraniana.

Una prospettiva che non piace ai governanti sunniti della regione e, men che mai, a Israele, tutti timorosi di un ampliamento dell’influenza di Teheran nella Penisola all’imbocco del Mar Rosso. Dal 2015, quindi, con il benestare dell’amministrazione Obama, il regno dei Saud è stato il principale supporto – anche attraverso una pesante campagna aerea transfrontaliera – alle forze governative sunnite contro gli sciiti Houthi, in quello che troppo semplicisticamente è stato ricondotto al classico scontro intra-religioso. 

In realtà, il conflitto in Yemen, “cuore importante” della regione – secondo la definizione di Robert Kaplan – è da sempre molto altro1 e si sta evidenziando chiaramente in questi ultimi mesi. Perché quella guerra è dovuta soprattutto alla ‘maledizione della geografia’, ossia la strategica posizione del Paese, delle sue isole, in particolare quella di Perim, e dei suoi porti di Aden e Mokhā, in quella che è parte della via della seta cinese delle rotte marittime. In pratica, chi detiene il pieno controllo dei porti yemeniti ha un vantaggio strategico commerciale e militare sull’intero stretto di Bab al-Mandeb, ossia lo stretto che separa lo Yemen e Gibuti, l’Asia dall’Africa, ma soprattutto l’imbocco meridionale del Canale di Suez, con tutto quanto vi transita. Controllare il Bab al-Mandeb è gestire una delle principali arterie della globalizzazione perché collega l’Europa all’Oceano Indiano e all’Africa orientale. Questa è la vera posta in gioco del conflitto in Yemen; ed è la stessa, seppur con tutt’altri aspetti, che sottostà al lungo conflitto in Somalia. Tutto il resto, ossia lo scontro fra sunniti e sciiti, come pure la presenza del terrore qaedista degli al-Shabaab somali, ad esempio, sono solo porzioni di una questione tutta riconducibile al posizionamento geografico strategico.

La decisione di Biden di togliere il sostegno all’Arabia Saudita era sostenuta da nobili intenzioni, comprendendo come il conflitto avesse ormai creato una “catastrofe umanitaria e strategica”, per cui il ritiro doveva essere considerato come parte del ripristino dell’enfasi, data dalla sua amministrazione, alla diplomazia, alla democrazia e ai diritti umani. Non da meno, la rimozione di Ansar Allah, o Houthi, dall’elenco delle organizzazioni terroristiche aveva lo scopo di facilitare il dialogo diplomatico fra le parti. Tuttavia, queste decisioni, non riflettendo una lettura attenta delle dinamiche interne e in rapida evoluzione di quella guerra, hanno finito per aggravarla nei toni e aumentare il numero dei soggetti in campo. Questo perché la decisione US è stata letta dagli Houthi come un ritiro diplomatico e tattico statunitense ma militare e strategico saudita e, di conseguenza, come un prodigioso cambiamento del rapporto di forze a proprio favore, finendo per influenzare anche altre dinamiche regionali. In pratica, lo stesso copione visto in Afghanistan con i talebani. 

In questa deriva, e di fondo, vi è un concetto tattico tanto semplice quanto devastante, ossia che qualsiasi attore non statale non ha alcun interesse a porre fine alla guerra che sta combattendo, dato che basa i propri progressi proprio sul cambiamento violento dello status quo. Se il nemico si ritira, o gli viene meno un fondamentale supporto esterno, perché mai rinunciare a combattere? Soprattutto se si ha la consapevolezza di essere una pedina importante in uno scenario fra i più strategici della regione mediorientale, ed addirittura africana, com’è appunto lo Yemen. Agli Houthi è infatti chiara la propria valenza strategica e come combattenti-guerriglieri non mancano né la pazienza né la tenacia. Hanno dimostrato, inoltre, di essere attori abbastanza autonomi, seppur beneficiando di appoggi esterni notevoli, come palesato dai ripetuti lanci di missili e droni anche in profondità nel territorio saudita, a cui Riyadh ha risposto con pesanti bombardamenti sui civili yemeniti. Un massacro di cui l’Occidente ha finito per esserne complice, garantendo ai sauditi sia il supporto materiale che quello politico.

Sebbene vi siano contatti diplomatici segreti fra sauditi e Houti alla ricerca, appunto, di una exit strategy – con una mediazione dell’Oman – la guerra di fatto continua con altri soggetti pronti ad approfittare del vuoto US-saudita, fra i quali gli Emirati Arabi Uniti, dapprima alleati dei sauditi, ma decisi ora a sottrarre il controllo dei territori meridionali yemeniti, quelli appunto del Marib, proprio al regno dei Saud, con cui, tra l’altro, già da tempo c’è disaccordo all’interno dell’Opec sulle quote di produzione di greggio. A tal fine gli EAU sono giunti a foraggiare ampiamente il movimento separatista del sud Yemen, il Southern Transitional Council, STC, e Marib, ricco bottino conteso, è diventata il teatro di scontri fra Houthi, STC e forze regolari. 

 
 Ma gli EAU non sono i soli: non potevano mancare Turchia e Qatar, tutti coinvolti in Yemen. Ankara, decisa a combattere gli Houthi, sostiene seppur con discrezione le forze governative, e i suoi servizi segreti pare stiano reclutando combattenti siriani da inviare in quel conflitto2. Un copione già visto in Libia e che, a quanto pare, piace ad Erdogan perché ha funzionato. Il Qatar, invece, rientrato nelle grazie dei governi regionali dopo le accuse di sostegno al terrorismo internazionale e a troppa vicinanza con l’Iran, pare ricercare una riscossa diplomatica e militare partecipando alla guerra nella coalizione a guida saudita. In pratica, e senza tanto meravigliarsi, il ruolo decisamente attivo degli EAU nel sostenere l’STC ha dato vita a tre guerre all’interno di una, con uno stallo che sembra cambiare solo in peggio. Anche perché la soluzione ‘pacifica’ sarebbe quella di dividere l’intero Yemen in almeno tre zone. Ma non è tutto, perché al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), adattandosi all’evoluzione delle vicende yemenite, continua la sua attività di ‘conquista dei cuori e delle menti’, sebbene indebolita dall’offensiva US con attacchi mirati per mezzo di droni. Non da meno frange legate all’ISIS portano avanti le loro azioni a supporto di loro sponsor interni, perché ciascuno di quei principali attori, nessuno escluso, è diviso in fazioni rivali, le cui motivazioni e lealtà cambiano nel tempo. Comprendere questo complesso panorama può aiutare a spiegare le apparenti contraddizioni in base alle quali gli attori rivali possono allinearsi nell’usare l’ISIS e le sue milizie come proxy strategico.

Ancora una volta, quindi, attori non statali sembrano decisi a non mollare la presa e a combattere ad oltranza. E questa è, di fatto, la caratteristica delle guerre moderne, quel contenere al proprio interno differenti soggetti, sovente attori non statali, ognuno con i propri sponsor, ossia aspiranti potenze regionali, pronti a combattere differenti conflitti in quello che sembra un unico, monolitico, grande campo di battaglia. Una sorta di matrioska bellica che era la caratteristica già della guerra siriana e che ora si sta imponendo in varie realtà destabilizzate, dal Vicino Oriente, all’Africa e al Centro Asia. E il conflitto in Yemen, seppur ignorato dai media, è un ulteriore, tragico e sofferto esempio. Le guerre moderne sono ormai puzzle composti da molteplici attori e da interessi complessi, con alleanze a tempo, sovente a geometria variabile che rendono sempre più difficile la comprensione e soprattutto la definizione di una exit strategy, anche solo per una soluzione di tregua. Ecco del perché di in uno stato di conflittualità perenne, a diversi livelli di intensità, di cui abbiamo testimonianza in ampie porzioni geografiche e di cui dovremmo prendere coscienza, ma appaiamo distratti e inavveduti perché quelle guerre sono fuori della nostra confort zone, in quella che è ormai un’esclusiva solo più occidentale.
 
La Porta di Vetro

Chi sono

Chi sono - Global Trends & Security

Analista di politica e sicurezza internazionale, opero attualmente presso enti privati in Israele, Giordania, Stati Uniti e Venezuela. Ho svolto attività di consulenza sul terrorismo per organismi governativi e privati in Libano, Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Libia, Tunisia, Niger, Messico e Brasile.

Chi sono - Global Trends & Security

18 febbraio 2022. Uscita del mio volume "Dalla paura all'odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo", Tangram Edizioni Scientifiche. Trento. " Il volume è il risultato di analisi e operatività sul campo che l’autrice ha condotto negli ultimi due anni circa fenomeni globali legati all’eversione e al terrorismo, sia di matrice islamista jihadista che dell’ultradestra violenta. Vengono analizzati soggetti e dottrine in un contesto di evoluzione delle relazioni internazionali e dei nuovi conflitti ibridi e identitari, in cui il terrorismo è tattica dominante. Sono inoltre delineati i processi, personali e collettivi, di radicalizzazione sia religiosa che politica, da cui derivano educazione e cultura alla violenza. Queste ultime acquisiscono un ampio pubblico attraverso la rete internet, anche nei suoi meandri più oscuri e tramite forme di comunicazione, qui analizzate, che trovano ampio utilizzo da parte delle nuove generazioni di nativi digitali. A ciò si sono aggiunti i toni aggressivi delle più recenti narrazioni cospirazioniste, originate sia da eventi interni a Stati democratici occidentali che da quelli emergenziali da pandemia. A vent’anni dalla paura del terrore proprio dell’11 settembre 2001, si sta procedendo velocemente, quindi, verso un livore generalizzato, a tratti vero e proprio odio, da cui una cultura di violenza politica dai legami transnazionali e che mira all’eversione, con i relativi rischi per la sicurezza nazionale."

  • 29/01/2023 07:01 am
  • Nº pagine viste 381807
© Copyright  2023 Global Trends & Security. All rights reserved. |